Il Palladio
|Andrea di Pietro della Gondola, detto Andrea Palladio
Biografia
Andrea di Pietro della Gondola nacque a Padova il 30 novembre 1508 da una famiglia di umili origini: il padre Pietro era mugnaio e la madre Marta, detta la Zota (“la zoppa”), una donna di casa.
Con la famiglia si trasferì a Vicenza nel 1523 dove lavorò come lapicida nella bottega di Giovanni da Pedemuro.
Tra il 1535 e il 1538 avviene l’incontro fondamentale con il nobile vicentino Giangiorgio Trissino, che cambierà radicalmente la sua attività. Andrea conosce Trissino mentre lavora nel cantiere della sua villa suburbana di Cricoli (VI).
Giangiorgio Trissino, poeta e umanista, lo prenderà sotto la sua protezione. Sarà lui a conferirgli l’aulico soprannome di Palladio (Consacrato a Pallade – Atena vien detta “Pallade”, nonché dea della Saggezza), lo guiderà nella sua formazione culturale e allo studio della cultura classica.
Insieme al Trissino compie dei viaggi a Roma che gli permisero di studiare a fondo i monumenti antichi e di conoscere la produzione dei grandi architetti attivi a Roma nel Cinquecento.
Nel 1549 il Consiglio dei Cento di Vicenza gli affidò la ricostruzione del Palazzo della Ragione, la “Basilica” che venne completata nel 1614 e che chiude il vecchio edificio gotico in un involucro classicheggiante.
Dopo la morte del Trissino, avvenuta nel 1550, Palladio si accostò al dotto prelato veneziano Daniele Barbaro, per il quale eseguì le illustrazioni di un’edizione del De Architectura di Vitruvio (1556). Gli vennero affidate numerose commissioni e nel 1570 divenne architetto ufficiale della Serenissima, pubblicando, nello stesso anno, I quattro libri dell’architettura, in cui prende in esame i fondamenti teorici, gli edifici privati, la costruzione della città e i templi.
Palladio, pur desumendo dallo studio diretto dei monumenti antichi gli elementi morfologici classici, li reinterpreta in un linguaggio architetettonico nuovo sia a Vicenza (Palazzo Chiericati, Palazzo Valmarana, l’incompiuta Loggia del Capitanio) sia nelle ville dell’entroterra veneto dove il patriziato veneziano consolida il proprio patrimonio con la rendita fondiaria. Nascono così le famose Ville del Palladio, che esamineremo in seguito.
Oltre che nelle campagne e nella città di Vicenza, di cui rinnovò il volto monumentale, Palladio fu attivo anche a Venezia, dove realizzò le grandi chiese di S.Giorgio Maggiore (1566) e del Redentore (1577-92). La sua ultima impresa fu il Teatro Olimpico iniziato per l’Accademia Olimpica (1579-80), ma non riuscì a portarla a termine a causa della sua morte nell’agosto del 1580 a Maser in provincia di Treviso, dove forse stava lavorando al tempietto di villa Barbaro. Il Palladio morì, se non povero, godendo di una condizione economica assai modesta. I funerali furono celebrati senza clamore a Vicenza, dove l’architetto fu sepolto.
L’architettura del Palladio divenne presto famosa in tutta Europa (dando vita ad un fenomeno noto come palladianesimo) fino in America dove la Casa Bianca, residenza del presidente degli Stati Uniti d’America, viene progettata in stile palladiano.
Le VILLE PALLADIANE
Le ville palladiane sono un insieme di ville venete (del territorio della Repubblica di Venezia), concentrate per la maggior parte nella provincia di Vicenza, edificate intorno alla metà del Cinquecento dall’architetto Andrea Palladio per le famiglie più importanti del luogo, soprattutto aristocratici ma anche alcuni esponenti dell’alta borghesia della Repubblica veneta.
Le ville palladiane, diversamente dalle ville romane e dalle ville medicee toscane, non erano destinate unicamente allo svago dei proprietari, ma erano, anzitutto, dei complessi produttivi. Circondate da vaste estensioni di campi coltivati e vigneti, le ville comprendevano magazzini, stalle e depositi per il lavoro agricolo. Di norma presentano ali laterali, le barchesse, destinate a contenere gli ambienti di lavoro, dividendo razionalmente lo spazio del corpo centrale, destinato ai proprietari, da quello dei lavoratori, in modo da non sovrapporre le diverse attività. Il corpo centrale è a sua volta suddiviso in senso verticale, dove ogni piano assolve a funzioni diverse.
Grazie anche alle loro descrizioni e ai dettagliati disegni pubblicati da Palladio nel trattato I quattro libri dell’architettura (1570), le ville palladiane divennero per secoli oggetto di studio per gli architetti europei, che si ispirarono ad esse per le loro realizzazioni.
L’architettura della villa
La reputazione di Palladio agli inizi, ed anche dopo la morte, si è fondata sulla sua abilità di disegnatore di ville. Durante la guerra della lega di Cambrai (1509-1517) erano stati inferti ingenti danni a case, barchesse e infrastrutture rurali. Il raggiungimento dei precedenti livelli di prosperità nella campagna fu probabilmente lento, e avvenne soltanto negli anni quaranta del Cinquecento, con la crescita del mercato urbano delle derrate alimentari e la decisione a livello governativo di liberare Venezia e il Veneto dalla dipendenza dal grano importato, e specialmente da quello che proveniva dal sempre minaccioso Impero ottomano. Questo enorme investimento in agricoltura e nelle strutture necessarie alla produzione agricola accelera il passo. Per decenni i proprietari terrieri avevano acquistato costantemente, sotto lo stabile governo veneziano, piccole tenute, ed avevano consolidato i loro domìni non solo attraverso l’acquisto, ma anche con lo scambio di grandi poderi con gli altri possidenti. Gli investimenti nell’irrigazione e le bonifiche mediante drenaggio accrebbero ulteriormente il reddito dei ricchi latifondisti.
Le ville del Palladio – cioè le case dei proprietari fondiari – rispondevano alla necessità di un nuovo tipo di residenza rurale. I suoi disegni riconoscono implicitamente che non era necessario avere un grande palazzo in campagna modellato direttamente su quelli di città, quali sono di fatto molte ville della fine del XV secolo (come l’enorme villa da Porto a Thiene). Qualcosa di più piccolo, spesso con un unico piano principale abitabile, era adatto come centro per controllare l’attività produttiva, da cui derivava probabilmente la maggior parte del reddito del proprietario, e per impressionare gli affittuari e i vicini oltre che per intrattenere gli ospiti importanti. Queste residenze, benché fossero talvolta più piccole delle ville precedenti, erano ugualmente efficaci al fine di stabilire una presenza sociale e politica nelle campagne ed erano adatte per il riposo, la caccia, e per sfuggire dalla città, sempre potenzialmente malsana.
Le facciate, dominate da frontoni di solito decorati con le insegne del proprietario, annunciavano una potente presenza in un vasto territorio pianeggiante, e non avevano bisogno, per essere visibili, dell’altezza dei palazzi cittadini. Le loro logge offrivano un luogo piacevole ed ombreggiato per pasteggiare, per conversare o per le esecuzioni musicali, attività queste che si possono vedere celebrate nella decorazione della villa, ad esempio a villa Caldogno.
Negli interni Palladio distribuiva le funzioni sia verticalmente che orizzontalmente. Cucine, dispense, lavanderie e cantine si trovavano al piano terreno: l’ampio spazio sotto il tetto veniva impiegato per conservare il prodotto più prezioso della tenuta: il grano, che incidentalmente serviva anche per isolare gli ambienti abitabili sottostanti. Al piano principale, abitato dalla famiglia e dai suoi ospiti, le stanze più pubbliche (la loggia e il salone) si trovavano sull’asse centrale mentre a destra e a sinistra vi erano delle infilate simmetriche di stanze, dalle grandi camere rettangolari, attraverso le stanze quadrate di medie dimensioni, fino a quelle rettangolari piccole, usate talvolta dai proprietari come studi o uffici per amministrare il fondo.
L’abitazione dei possidenti spesso non era l’unica costruzione di cui Palladio era responsabile. Le ville, nonostante la loro apparenza non fortificata e le loro logge aperte, discendevano ancora direttamente dai castelli ed erano circondate da un cortile recintato da un muro che le dotava della necessaria protezione dai banditi e dai malintenzionati. Il cortile (“cortivo”) conteneva barchesse, torri colombaie, forni per il pane, pollai, stalle, abitazioni per i fattori e per i servitori domestici, stanze per fare il formaggio e cantine per spremere l’uva. Già dal XV secolo si usava creare una corte davanti alla casa, con un pozzo, separata rispetto al cortile di servizio e con le sue barchesse, gli animali e gli spazi per battere il grano. Giardini, orti di verdure e di spezie, vasche per i pesci e, quasi invariabilmente, un grande frutteto (il “brolo”) erano tutti raggruppati o localizzati all’interno del muro di cinta.
Nei suoi disegni Palladio cercò di coordinare tutti questi differenti elementi che nei complessi precedenti non erano collocati in considerazione delle visuali simmetriche e delle gerarchie architettoniche, ma soltanto in base alla forma dell’area disponibile, generalmente delimitata da strade e corsi d’acqua. Anche l’orientamento era importante: nei suoi Quattro libri dell’architettura (pubblicati a Venezia nel 1570), Palladio afferma che le barchesse dovrebbero essere esposte a Sud in modo da tenere asciutta la paglia, per evitare che fermenti e bruci.
Palladio trovò ispirazione nei grandi complessi antichi che somigliano alle dimore di campagna circondate dalle loro dipendenze, o che forse credeva davvero fossero dei complessi residenziali – esemplare è il tempio di Ercole Vincitore a Tivoli, che egli aveva rilevato. È chiaro per esempio, che le barchesse ricurve che costeggiano l’imponente facciata della villa Badoer riprendevano quel che era ancora visibile del Foro di Augusto. Nel suo trattato Palladio mostra generalmente gli impianti di villa simmetrici, ma in realtà era consapevole del fatto che qualora non fosse stato possibile esporre entrambe le ali delle barchesse a Sud, come nel caso di villa Barbaro a Maser, il complesso non sarebbe mai stato costruito simmetricamente. Un esempio è la villa Pojana, dove la grande barchessa con raffinati capitelli dorici è certamente disegnata da Palladio. La barchessa esistente è esposta a Sud, e non viene bilanciata da un elemento corrispondente dall’altro lato della facciata principale.