Le dinastie feudali /signorie in Veneto

 

Le più importanti dinastie feudali e signorie

affermatesi in Veneto dal X secolo (Basso Medioevo)

  

 


 

La famiglia dei Da Carrara

e la loro Signoria a Padova

 

 

 

La famiglia dei Da Carrara (o Carraresi) ha avuto grande importanza per la storia padovana, contribuendo in maniera determinante alle vicende che si susseguono nel Medioevo e prendendo poi il potere in città fino all’avvento della Serenissima.
Come molte altre famiglie di primo piano dell’epoca sono di origine longobarda e prendono il nome dalla località di Carrara Santo Stefano, nell’area ai piedi dei Colli Euganei, a sud della città, dove hanno un castello e diversi possedimenti. Dopo i saccheggi Longobardi e la completa distruzione di Padova ad opera degli Ungari nell’899, Monselice, con la sua struttura protetta, arroccata intorno al castello e circondata di mura, aveva assunto sempre maggiore importanza nella zona, favorendo la crescita anche dei Carraresi che possedevano diversi territori anche nell’ area limitrofa. Verso la metà del XII secolo, quando Padova si ripopola, torna ad essere sede vescovile e si dota di una nuova cinta muraria, sui resti di quelle romane, anche i Carraresi costruiscono, come i Camposampiero e i Vigodarzere, le loro nuove residenze in città. Quando esplode la prima contesa tra Papato e Impero, i Carraresi si schierano con il Vescovo contro l’Imperatore e appoggiano apertamente Verona. Questa loro posizione guelfa permarrà anche durante l’età ezzeliniana dei Da Romano e porterà i Carraresi ad accrescere il proprio potere proprio grazie al contributo che diedero alla cacciata di Ezzelino III il Terribile nel 1256. Ma la presa di potere che segnò la fine di Padova libero Comune e l’avvento della Signoria avviene quasi 60 anni dopo quando nel 1318 Jacopo I Da Carrara viene nominato Capitano del Popolo per guidare l’esercito padovano contro Cangrande della Scala che, da Verona, cerca l’espansione verso ovest nei territori vicentini e padovani, protetto dall’Imperatore. La famiglia dei Carraresi è da anni alla ricerca del potere, ma è minata da discordie interne e complotti familiari, oltre che dalla forza delle altre famiglie che gareggiano per la supremazia.

Jacopo, dopo aver respinto una prima volta gli eserciti veronesi cerca un alleato capace di garantirgli un appoggio adeguato alle forze degli Scaligeri. Lo trova nel Conte di Gorizia, vicario del Duca d’Austria, preoccupato per i tentativi di espansione di Verona anche verso nord. L’alleanza si rivelò provvidenziale nel 1320 quando Cangrande della Scala tenta di conquistare la città, stringendola d’assedio.

Quattro anni dopo, alla morte di Jacopo, gli “succede” il nipote Marsilio che viene nominato dal Comune Capitano del Popolo. Probabilmente Marsilio I non ha la stessa forza dello zio, perché cominciano subito le lotte intestine alla città, ma anche alla stessa famiglia per sottrargli il potere. Così, nel 1328, il nipote Niccolò si allea a Cangrande riuscendo a destituire lo zio. Viene nominato Vicario e riesce a detenere il potere per quasi 10 anni, fino a quando Venezia, preoccupata per l’espansione di Verona e dell’Impero che minaccia la sua indipendenza e la sua possibilità di espansione nell’entroterra, si allea con Firenze e muove all’attacco. Marsilio coglie la palla al balzo, si unisce all’alleanza e riesce, nel 1337 a riprendere il potere in città, grazie soprattutto al momento di confusione seguito alla morte di Cangrande.

Pochi mesi dopo anche Marsilio muore e gli succede Ubertino I che riesce a riconquistare i territori perduti e, grazie alla mediazione dei Veneziani, a trovare un accordo con Verona. Nel 1343 da’ inizio alla costruzione della Reggia, un vero monumento al ritrovato potere della famiglia. Due anni dopo muore e gli succede Marsilietto detto Papafava che verrà immediatamente assassinato dai cugini Jacopo e Jacopino, figli di Niccolò. Questi sono, come il padre, fedeli all’Imperatore Carlo IV che nel 1348 nomina Jacopo II, diventato Signore della città, Vicario Imperiale. L’anno successivo arriva per la prima volta a Padova, su invito di Jacopo, Francesco Petrarca, che spesso soggiornerà in città e deciderà di passare poi qui i suoi ultimi anni. Un anno ancora e Jacopino muore vittima di una congiura.

Vengono nominati Signori il fratello, Jacopino III e il figlio, Francesco I il Vecchio, che forte dei suoi successi militari contro i Viasconti di Milano, nel giro di 5 anni si libererà di Jacopino III accusandolo di congiura e facendolo richiudere nel castello di Monselice dove rimarrà per ben 17 anni. Già l’anno successivo, nel 1355, le dispute con Venezia portano a mutare nuovamente le alleanze: questa volta i Visconti e l’Imperatore sono gli amici che aiutano a bloccare le mire espansionistiche della Serenissima.

È un periodo di grande fioritura artistica e culturale, grazie anche all’opera di Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco: viene costruita la chiesa di S. Maria dei Servi, nell’attuale Via Roma, il Battistero viene affrescato, gli Eremitani vengono allargati e al loro interno viene collocato un monumento funebre a Jacopo II la cui epigrafe viene scritta da Francesco Petrarca. La profonda amicizia che lo lega a Francesco I, lo porterà a Padova nel 1360, con l’intenzione di rimanerci in maniera permanente. Purtroppo la peste lo costringe l’anno seguente a fuggire a Venezia, dove rimarrà per 7 anni. Quando finalmente rientra, Francesco gli fa dono di alcune terre ad Arquà, sui Colli Euganei. Qui Petrarca costruisce la sua casa, dove si trasferisce definitivamente con la figlia, il genero e la nipote, dove continuerà a scrivere fino alla morte arrivata nel 1374. L’anno precedente riesce però ad aiutare Francesco e il figlio Francesco Novello a trovare un accordo con Venezia che metta fine alle continue e sfibranti battaglie lungo i confini dei due territori.

Nel 1378 scoppia la “Guerra di Chioggia” tra veneziani e genovesi che darà origine ad un balletto di alleanze tra Padova, Venezia, Verona, Milano e l’Austria che porterà a continue espansioni e riduzioni dell’area di influenza dei Carraresi. La massima espansione viene raggiunta nel 1387, con i territori di Feltre e Belluno, la ripresa di Vicenza e una serie di pesanti sconfitte degli Scaligeri.

A questo punto Francesco I il Vecchio abdica in favore del figlio Francesco II Novello.

Nel frattempo l’espansione di Padova ha spaventato sia gli Sforza che Venezia, che si alleano contro la città. Riescono ad avere la meglio, costringendo i Carraresi all’esilio. Riescono a rientrare solo 2 anni dopo, nel 1390.

 

Ma il declino ormai è inarrestabile: Francesco I muore prigioniero dei Visconti nel 1393 e i tentativi di Francesco Novello di resistere all’espansione veneziana falliscono definitivamente quando la città è presa dai veneziani nel 1405 e Francesco stesso, con i due figli, è incarcerato e ucciso.
Le aspirazioni di governo della famiglia possono dirsi per sempre estinte quando anche l’ultimo figlio di Francesco Novello, Francesco III tenta di rientrare a Padova nel 1435, ma viene catturato dai veneziani e ucciso.

 

L’altro ramo, quello che derivava da Marsiglietto e da quel Jacopino che Jacopo II fece imprigionare nella torre di Rocca Pendice, assunse come cognome Papafava, originariamente il soprannome dato al loro avo Jacopo e di lì associato a Carraresi per distinguerli dai cugini.

I Papafava rimasero una delle famiglie più illustri della città.

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I Carraresi fondarono nel 1027 la grande e splendida Abbazia di Santo Stefano, di cui oggi rimane solo l’antica e bellissima chiesa in pietra nera.

Questa Abbazia non è molto conosciuta, ma fu una delle più potenti e ricche di tutta la Diocesi di Padova fino a quando, nel 1405, con la caduta dei Carraresi, fu trascinata nella rovina assieme ai suoi fondatori.

Nel loro borgo natio, i Carraresi possedevano un Castello di cui oggi non rimane traccia.

          

Molte fortificazioni devono ai Carraresi la propria esistenza:

      

 il castello di Valbona a Lozzo Atestino (in provincia di Padova)     

 

le porte della cinta muraria di Cittadella e altre ancora, conservano al loro esterno affreschi recanti lo stemma carrarese, in rosso su campo bianco.

 

Nella città di Padova poi commissionano la costruzione del loro palazzo, la Reggia Carrarese, della quale rimangono la Loggia dei Carraresi (oggi sede dell’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti) e, nel piano superiore, la cappella privata.

Il Castello di Padova, di origine medievale e già rafforzato dal tiranno Ezzelino da Romano, conserva manufatti e affreschi dell’epoca carrarese: la famiglia lo utilizzò durante il proprio regno sulla città e fece costruire un traghetto sopraelevato che congiungeva la reggia alle mura e, attraverso queste, al castello vero e proprio.

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Estensi

 

 

La famiglia d’Este discende dagli Obertenghi, signori di Milano e della Liguria occidentale verso la fine del X secolo. Il più antico capostipite documentato del casato è Oberto II, marchese di Sicilia, principe del Sacro Romano Impero (m.972).

Adalberto d’Este visse nei primi anni del X secolo, ed era un discendente degli antichi duchi e marchesi della Toscana. Dopo Adalberto i primi nomi che s’incontrano nella famiglia d’Este sono Oberto I e Oberto II, vissuti sul finire del X secolo e al principio dell’XI secolo.

Alberto Azzo II d’Este (996-1097), può considerarsi il capostipite storico della famiglia nell’omonima città di Este, al tempo importante snodo politico e commerciale, che ricevette l’investitura dall’imperatore.

 

Uno dei figli di Azzo II, Guelfo IV d’Este (m. 1101) venne adottato dallo zio materno Guelfo III Welfen al quale succedette come duca di Carinzia, cambiando quindi il cognome per perpetuare il nome dei Guelfi che si era estinto in linea maschile (da questa casata derivarono direttamente le illustrissime case tedesche di Hannover e Brunswick, che ottennero anche la corona di Gran Bretagna molti secoli dopo), egli divenne anche duca di Baviera nel 1070.

 

Il ramo italiano degli Este proseguì con l’altro figlio di Azzo II. Tra i successori di costui vi è Obizzo I (m. 1193), che combatté l’imperatore Federico I. Il nipote Azzo VI d’Este (1170-1212), primo signore di Ferrara, fu anche podestà di Mantova e Verona. Egli lottò con Ezzelino il Monaco e con Salinguerra Torrelli; nel 1212 fu sconfitto da Ezzelino a Pontalto, lottò per ottenere Ferrara, impresa riuscita infine nel 1240 a suo figlio Azzo VII d’Este (1205-1264). Aldobrandino, nel 1213, assalito dai Padovani, difese strenuamente la rocca d’Este, ma alla fine fu costretto a cedere la città da cui la dinastia traeva nome.

 

Azzo Novello VII, nel 1242 riconquistò Ferrara, vi uccise quattrocento Ghibellini e da papa Innocenzo IV fu nominato difensore della Chiesa nella lotta contro Ezzelino III da Romano (1255). Obizzo II d’Este (m. 1293) fu proclamato signore a vita di Ferrara nel 1264, signore di Modena nel 1288 e di Reggio nel 1289. Essendo Ferrara un feudo papale, gli Este divennero vicari papali nel 1332.

Rinaldo, nel 1333 venne assediato dal legato pontificio Bertrando del Poggetto, ma il 14 aprile Pinalla Aliprandi sconfisse l’esercito papale.

Niccolò III fu in lotta con il cugino Azzo X che tentò di spogliarlo dei domini, in una guerra durata due anni, nel 1402 fu nominato capitano generale dal papa Bonifacio IX contro i Visconti, ma fu sconfitto da questi a Casalmaggiore, mantenendo comunque i suoi domini.

Sotto Nicolò III d’Este (1383-1441) Ferrara divenne un grande centro culturale rinascimentale.

Niccolò III (nato nel 1383 e al potere per quasi un cinquantennio, dal 1393 al 1441), spregiudicato e circonfuso da un’aura di crudeltà disumana (fa uccidere la seconda moglie, Parisina Malatesta, e il figlio illegittimo Ugo – implicati in una relazione – per favorire gli altri due bastardi avuti dalla relazione con Stella dei Tolomei: Lionello e Borso). Alla morte di Gian Galeazzo Visconti, nel 1402, l’Estense cerca di approfittare della dissoluzione dello Stato visconteo impadronendosi di Reggio e Parma (ma nel 1420 dovrà poi cedere la seconda a Filippo Maria Visconti per non perdere la prima), e inizia quella politica altalenante con i due maggiori potentati contermini – il ducato di Milano e la Repubblica di Venezia – che sarà poi tipica della dinastia. A Niccolò – morto improvvisamente a Milano nel 1441 (forse avvelenato) – succedono gli illegittimi Lionello (fino al 1450) e quindi, per un ventennio, Borso (1450-71), sotto i quali Ferrara inizia a trasformarsi in uno dei maggiori e più splendidi centri del Rinascimento, in virtù di un rinsaldato legame tra esercizio del potere e cultura, altamente fruttuoso per tutto il XVI secolo.

Venuto a mancare anche Borso, gli subentra il fratello legittimo Ercole I (figlio della terza moglie di Niccolò, Rizzarda di Tommaso di Saluzzo) dal 1471 al 1505, che saprà guidare con mano ferma lo Stato tra le prime, tragiche conseguenze della spedizione di Carlo VIII di Francia in Italia (1494), e nondimeno proseguire il mecenatismo dei fratelli.

A Ercole I subentra il figlio Alfonso I, che si trova a governare in anni difficilissimi; lo Stato arriva al minimo della sua estensione e per due volte rischia di scomparire, prima sotto i colpi di Giulio II, del duca di Urbino, dei Lucchesi, durante la guerra di Cambrai; poi sotto quelli di Leone X al tempo dello scontro tra Francesco I e Carlo V per la successione imperiale alla morte di Massimiliano I (1519). In quei frangenti il papa aveva infatti annesso allo Stato della Chiesa le conquiste fatte dal nipote Lorenzo nel 1516 (ducato di Urbino, Parma, Piacenza e Reggio) e, garantendo il suo appoggio a Carlo V nella lega del 1521, aveva ottenuto dall’Imperatore anche la cessione di Ferrara. Con il figlio di Alfonso, Ercole II, duca dal 1534 al 1559, e sollecito nel mantenersi neutrale tra Francia e Impero, la casa d’Este conosce invece un venticinquennio di pace, eccezion fatta per l’alleanza con papa Paolo IV ed Enrico II di Francia contro Filippo II di Spagna tra il 1556 e il 1558. Alla sua morte gli succede naturalmente il primogenito maschio Alfonso II (nato nel 1533), quinto e ultimo duca di Ferrara, Modena e Reggio dal 1559 al 1597. Con lui la corte vive anche l’ultima e probabilmente la più fastosa delle sue stagioni. Trascorre gran parte della sua giovinezza alla corte francese di Enrico II, tornando in Italia per sposarsi, nel 1558, con Lucrezia de’ Medici, figlia del granduca Cosimo I, e poi l’anno successivo per assumere il comando del ducato ferrarese alla morte del padre. L’ingresso della giovanissima moglie a Ferrara, il 27 febbraio 1560, dà l’avvio alla successione di feste, giostre, mascherate carnevalesche, rappresentazioni teatrali, per cui la città andò famosa. Il nuovo duca ama del resto circondarsi di un fasto degno di un grande monarca (oltre trecento persone addette soltanto al suo servizio personale; un’imponente quantità di uomini e animali per la caccia; una nutrita guardia del corpo): ciò che finirà – inevitabilmente – per esaurire, verso la fine degli anni ’70, le finanze del ducato. Ma il periodo di pace diffusa, in Italia e in Europa, seguito al trattato di Cateau-Cambrésis (1559) permette al duca di dedicare tempo e risorse al mecenatismo e all’incremento culturale tradizionali degli Estensi. Tra i molti letterati da lui protetti e accolti a corte (Giovan Battista Guarini, Giovan Battista Pigna, Francesco Patrizi, Pirro Ligorio ecc.), spicca l’inquieta personalità di Torquato Tasso (1544-1595), che a Ferrara si trasferì nel 1565, entrando dapprima a servizio del cardinale Luigi d’Este, fratello del duca (morto nel 1586), poi, dal 1572, dello stesso Alfonso, che lo nominò l’anno seguente lettore di Geometria e Sfera nello Studio ferrarese. Sempre nel 1573 il poeta era stato tra i principali artefici di un’altra celebre festa teatrale di corte, allorché, il 31 luglio, nel palazzo dell’isoletta del Belvedere (trasformata in giardino di delizie da Alfonso I, tra il 1514 e il 1516) si rappresentò per la prima volta la sua favola pastorale in cinque atti Aminta. Seguirono quindi gli anni più tormentati del soggiorno ferrarese e della stessa vita di Tasso, segnati dalle progressive segregazioni, a partire dal 1577, nel castello Estense; nel convento di San Francesco e infine, dal 1579 al 1586 la quasi detenzione nell’ospedale di Sant’ Anna. Molti furono anche gli artisti e i musici protetti dal duca, sebbene in assenza di nomi di grandi rilievo. E speciale attenzione è dedicata anche all’arricchimento della Biblioteca, per la quale Alfonso ordinò che fossero ricercati tutti i libri pubblicati dal momento dell’invenzione della stampa. Un problema tuttavia si fa sempre più assillante a corte, ed è quello della successione, dato che il duca non sembra possa avere figli. L’erede non verrà infatti né dalle tre mogli legittime (Lucrezia, morta nel 1561; Barbara d’Austria, figlia dell’imperatore Ferdinando I, sposata nel 1565 e morta nel 1572; Margherita Gonzaga, figlia di Guglielmo duca di Mantova e Monferrato, sposata infine nel 1579) né da relazioni illegittime. Il fatto permetterà al papato di rivendicare nuovamente il possesso di Ferrara, anche sulla base delle prescrizioni contenute nella bolla Prohibitio alienandi et infeudandi civitates et loca Sanctae Romanae Ecclesiae, pubblicata da Pio V nel 1567, che faceva divieto di infeudare i bastardi sui feudi di proprietà della Chiesa. A questo documento si sarebbero richiamati anche i papi successivi, Gregorio XIII, Gregorio XIV e da ultimo Clemente VIII, irremovibile nel non riconoscere come erede del ducato Cesare d’Este, figlio di un bastardo di Alfonso I, Alfonso d’Este (1527-1587, sposatosi nel 1549 con Giulia della Rovere, figlia di Francesco Maria duca di Urbino; legittimato tuttavia nel 1532 dal cardinale Innocenzo Cybo e l’anno successivo dallo stesso padre, che gli aveva assegnato come appannaggio il feudo marchionale di Montecchio, facendogli quindi ottenere l’investitura imperiale). Il più giovane Estense era stato riconosciuto a sua volta come duca di Modena e Reggio dall’imperatore Rodolfo II, nel 1594.

 

Subito dopo la morte di Alfonso II , Cesare d’Este è investito anche del titolo di duca di Ferrara, ma qualche giorno dopo, a Roma, il papa dichiara la devoluzione del ducato ai possedimenti della Chiesa a causa dell’estinzione in linea diretta della casata estense («ob lineam finitam»), e intima al nuovo duca, pena la scomunica, di adeguarsi a tale risoluzione. Comminata l’interdizione religiosa il 23 dicembre 1597, il bigotto e pauroso Cesare, accetta incondizionatamente nella capitolazione di Faenza (13 gennaio 1598) la devoluzione del ducato e di tutta la Romagna allo Stato della Chiesa. Finisce con quest’atto la signoria degli Estensi su Ferrara.

La corte si trasferisce di lì a poco nella più piccola e disagiata Modena, con irreparabile diminuzione di prestigio e incidenza politica. La decadenza prosegue nel secolo successivo finché nella seconda metà del Settecento i diritti della casa d’Este passano all’Austria, in virtù del matrimonio tra Ferdinando Carlo Antonio, figlio di Francesco di Lorena e Maria Teresa d’Austria con Maria Beatrice d’Este (15 ottobre 1771). La linea d’Austria-Este si estingue nel 1875 con il figlio di Francesco IV, Francesco V.

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Della Scala

 

 

Le Origini

 

I primi della Scala erano a Verona già dal XI secolo.

Il primo di cui si hanno notizie certe è Arduino Della Scala “possidente di riguardo e mercante di panni” che si dichiara di origine “latina” in un documento del 1180. Da Arduino, vennero un Leonardino, un Balduino ed il di lui figlio Giacomino (o Jacopino), mercante di lane, considerato il capostipite dei successivi Signori di Verona.

Suo figlio Mastino non era particolarmente ricco, né aveva titoli nobiliari, ma era abile in politica, autorevole e capace e soprattutto incline alla pace (aspetto fondamentale per i veronesi, che uscivano da una breve ma sanguinaria parentesi di dominio di Ezzelino III da Romano) e ricoprì ruoli sempre più importante all’interno della Domus Mercatorum fino a diventarne il Podestà dal 1261 al 1269.

 

Il castello scaligero di Sirmione

 

 

Organi di Governo di Verona

Il maggiore esponente del popolo veronese era in quel periodo la Domus mercatorum, un corporazione dei mercanti veronesi. Le Arti detenevano in sostanza il potere nella città tramite i gastaldioni (i capi delle Arti), che eleggevano un proprio podestà, denominato capitano e rettore di gastialdoni dei Mestieri e di tutto il popolo, e una parte del consiglio Maggiore. I gastaldioni si riunivano e legiferavano su tutto quello che sembrava di utilità al Comune secondo gli statuti cittadini; il podestà era tenuto a presentare al consiglio Maggiore le deliberazioni dei capi delle Arti. Le Arti eleggevano tredici anziani, i quali con i sapienti dei cinque quartieri e gli LXXX (gruppo non ben conosciuto) facevano parte del consiglio Maggiore, detto anche consiglio dei Cinquecento. Il podestà aveva obbligo entro due settimane dall’inizio della sua carica di riformare il consiglio Maggiore con l’aiuto degli anziani e dei sapienti. Il podestà era per statuto straniero, e sia a lui che al vicario competeva il potere esecutivo, mentre quello giudiziario era dei giudici e dei consoli, e il potere legislativo era affidato al consiglio Maggiore. Il potere quindi era soprattutto in mano ai capi delle Arti. Proprio per il grande potere che aveva la classe mercantile, di cui erano importanti esponenti gli scaligeri, fu facilitato l’accentramento del potere nelle mani della famiglia.

 

A Verona la fazione ghibellina aveva ormai preso il sopravvento, e con Mastino della Scala la città veneta passò in forma non traumatica da Comune a signoria. Fu nel 1262 che Mastino della Scala venne nominato Capitano generale perpetuo del popolo, e subito Mastino cercò di attenuare i contrasti civili e fece aiutare i villaggi devastati dalle numerose lotte.

Già l’anno seguente i guelfi attentarono alla sua vita, ma il complotto venne svelato ancora prima che potesse essere messo in atto: i congiurati catturati furono condannati a morte, mentre quelli che riuscirono a fuggire vennero aiutati dai Sambonifacio.

Nel 1265 si ribellò Trento, che venne velocemente rioccupata, mentre poco dopo furono conquistati i castelli di Lonigo, Montecchio e Montebello.

Due anni dopo scese in Italia l’imperatore Corradino di Svevia, che lo scaligero sostenne militarmente, tanto che l’intera città di Verona fu scomunicata dal pontefice: i guelfi ne approfittarono e insorsero a Mantova, dove però la città cadde in mano ai Bonaccolsi, alleati degli scaligeri. L’anno stesso furono ritirate le scomuniche ma ad un prezzo altissimo: in opposizione al papa, Mastino della Scala fece catturate a Sirmione circa 170 vescovi e preti Catari che furono imprigionati (Mastino non se la sentì di ucciderli, ed infatti furono messi al rogo nell’Arena solo dopo la sua morte).

Con Mastino della Scala la città raggiunse un notevole stato di benessere, ma i guelfi tentarono ugualmente una congiura nel 1277, riuscendo in questo caso ad uccidere Mastino e l’amico di famiglia Nogarola. Ai colpevoli, che riuscirono a scappare, venne proibito il ritorno e le loro case furono rase al suolo.

Gli successe allora il fratello Alberto, con cui si ebbe l’effettivo passaggio da Comune a Signoria, avvenuta grazie al grande favore che questi ottenne dal popolo che in soli 10 giorni gli affidò ampi poteri.

Alberto fu abile nel fare sottoscrivere la pace con Brescia, Mantova e Padova, città guelfe in contrasto con il ghibellismo scaligero.

All’inizio degli anni novanta vennero occupate Este, Parma e Reggio, mentre nel 1297 Vicenza, insanguinata dalle lotte civili, si diede spontaneamente a Verona (al governo della città venne designato Cangrande, figlio di Alberto). Le conquiste continuarono nel 1299, quando, con i figli Alboino e Cangrande, si impadronì anche di Feltre, Cividale e Belluno.

Alberto I della Scala Morì nel 1301. Dei sei figli avuti dalla moglie Verde di Salizzole, che morirà nel 1306, tre erano maschi: il secondogenito Bartolomeo, il quartogenito Alboino, e il quintogenito Cangrande. Assumeva il potere quindi il figlio maggiore Bartolomeo, a cui Dante dedicò due terzine del canto XVII del Paradiso. Questi riuscì ad impadronirsi di Riva ed Arco nel trentino, ma nel 1303 morì senza figli, lasciò quindi il posto al fratello Alboino, secondo in ordine di successione.

Alboino volle al potere insieme a lui il fratello minore Cangrande, col quale ottenne la riva bresciana del lago di Garda, e con il quale vinse alcune battaglie contro Este, Brescia e Parma. Nel 1310 l’imperatore Enrico VII nominò entrambi vicari imperiali, ma presto Alboino morì e rimase al potere solo il fratello Cangrande.

 

 

Massima espansione e ricchezza della Signoria

 

La statua equestre di Cangrande, presso Castel Vecchio

 

Cangrande della Scala fu Signore illuminato e rispettato, ospitò per il secondo periodo Dante, esiliato da Firenze, nella reggia fatta allestire apposta per i grandi rifugiati politici, gli scienziati, poeti e artisti di talento che coprì generosamente di denaro e doni. A Cangrande Dante dedicò una menzione d’onore nel canto XVII del Paradiso nella Divina Commedia: Dante sperava che questo principe valoroso e potente potesse realizzare l’unificazione italiana dal poeta vagheggiata.

Fu allora che Padova fece lega con i Sambonifacio, Treviso e Aquileia, che firmarono una pace nel 1314.

Già l’anno successivo però Padova invase Vicenza: Cangrande allora con un contingente di cavalieri partì alla volta della città, dove misero in fuga il nemico e catturarono il Carrara. Il prigioniero venne trattato come un ospite sino alla pace della fine del 1315. Il 1318 a Soncino Cangrande venne addirittura nominato generale della Lega Ghibellina.

Nel 1325 Cangrande venne colpito da una grave malattia, e si sparse la voce che fosse morto: Federico della Scala allora si fece eleggere principe, ma alla sua guarigione Cangrande bandì lui e la sua famiglia, oltre alle altre famiglie che parteciparono al complotto (compresi i Montecchi).

Nel 28 un legato pontificio indisse una crociata contro di lui (con una accusa di eresia), a cui risposero numerose città guelfe che vennero però sconfitte. Riuscì quindi a consolidare il dominio di Padova e mise d’assedio Treviso, che poco dopo si arrese: divenne quindi signore di Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Belluno, Feltre, Monselice, Bassano, oltre che vicario imperiale di Mantova e capo ghibellino italiano.

Cangrande nel 1329 però morì a soli 38 anni, avvelenato con la digitale purpurea ( forse dal suo stesso medico) e non come spesso ritenuto battuto da una malattia presa bevendo da una fonte fredda.

La prematura e inaspettata morte di Cangrande della Scala lasciò la Signoria senza discendenti diretti (ebbe solo figlie femmine, oltre che maschi illegittimi).

 

Mastino II – statua equestre un tempo sulla sommità della sua arca, ora ricoverata in una delle torri di Castelvecchio

 

Il potere venne quindi preso dal nipote Mastino II della Scala figlio di Alboino, che portò la signoria fino a Pontremoli e sul Mar Tirreno.

Nel 1328 i figli illegittimi di Cangrande tentarono una congiura per uccidere i figli di Alboino della Scala (Alberto II e Mastino II), ma vennero scoperti e imprigionati. Mastino II l’8 agosto 1331 venne eletto Capitan Generale della lega formata, oltre che da Verona, dagli Estensi, dai Gonzaga e dai Visconti (in seguito si unì anche Firenze),per difendersi dalla discesa del Re di Boemia (sollecitato dal Papa), che aveva già conquistato alcune città lombarde.

Mastino II, a capo dell’esercito, corse in soccorso di Ferrara (posta d’assedio): vinse la battaglia, ed al suo ritorno a Verona venne acclamato dalla popolazione. Sottomise successivamente Bergamo, data agli alleati, e per la signoria scaligera Brescia, Parma, Lucca, Massa e Pontremoli.

 

 

Decadenza della Signoria

 

Dominii scaligeri nel momento di massima espansione (1336)

 

I due scaligeri Alberto II e Mastino II , furono mal consigliati, e finirono per infastidire Venezia che, spaventata dalla spinta verso Chioggia di Verona, fece lega con Firenze (nel 1337 si unirono anche Milano, Mantova ed Este), con conseguenze disastrose per la signoria scaligera: venne addirittura fatto prigioniero Alberto II.

Con la pace del 1339, che coinvolse con prezzi alti Ludovico IV di Baviera detto il Bavaro, Imperatore del Sacro Romano Impero, e una gestione di paci separate con i contendenti, Mastino II riuscì a salvare la Signoria ed il fratello con un forte ridimensionamento territoriale: rimasero solo Verona, Vicenza, Parma (persa successivamente a favore di Azzo da Correggio) e Lucca (separata dal territorio, indifendibile e pertanto venduta a Firenze).

Si creò con Mastino II una situazione ambivalente, in cui una città sconfitta, sotto il peso di costi altissimi per il ridimensionamento territoriale e nuovamente divisa da discordie fra le famiglie influenti, mantenne a lungo la fama di città-rifugio dei numerosi esuli delle lotte fratricide tra italiani. Verona divenne una sorta di protettorato: furono tempi in cui gli Scaligeri avevano sempre meno potere ma, ironia della sorte, in cui eressero i monumenti che più li ricordano: Castelvecchio, il Ponte scaligero, le Arche scaligere che ne custodiscono i resti.

Mastino II morì nel 1351 e Alberto II si ritirò a vita privata e morì poco dopo.

 

La Signoria passò ai figli di Mastino II Cangrande II della Scala, Cansignorio della Scala e Paolo Alboino della Scala. Il primo detto “Can rabbioso” fu il vero e proprio governante della città. Si comportò come alcuni dittatori moderni, ammassando ricchezze fuori Verona per i figli tutti illegittimi, impoverendola, ed alimentando scontri interni fino alla sua morte nel 1359 per mano del fratello Cansignorio.

Cansignorio della Scala governò in una relativa pace e abbellì Verona al punto di farla soprannominare Marmorina per l’abbondanza di antichi marmi e statue romane, gettò il primo ponte in muratura sull’Adige, il ponte Navi, e pose il primo orologio su una torre in Italia, la torre del Gardello, mosso con meccanismi ad acqua.

Prima della sua morte, nel 1375, ordinò la morte del fratello Paolo Alboino al fine di garantire la successione ai figli illegittimi Bartolomeo II della Scala ed Antonio della Scala, allora non ancora maggiorenni.

I due ragazzi entrarono però in una sorta di protettorato dei Visconti, che approfittarono della debolezza politica del momento e del forte indebitamento in cui era caduta la città. Bernabò Visconti attaccò Verona reclamando l’eredità per la moglie Regina della Scala sorella di Cansignorio, ma i veronesi fecero una sortita e li costrinsero alla fuga.

Per altri sei anni la città rimase in mano agli Scaligeri, ma Antonio della Scala fece uccidere il fratello per poter governare da solo: egli fece incolpare i Malaspina, i Nogarola (da sempre amici di famiglia) ed i Bevilacqua, che riuscirono a trovar rifugio a Milano. Essi incitarono i Visconti a portare guerra ad Antonio della Scala: si formò quindi una lega tra Visconti, Carraresi, Estensi ed i Gonzaga, che segnò la fine della signoria scaligera. L’esercito veronese combatté due grandi battaglie, tra le più grandi di quel tempo, prima della sconfitta definitiva.

Ebbe fine l’indipendenza di Verona, e nel 1387 Antonio della Scala venne definitivamente cacciato da Verona.

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Ezzelini Da Romano

 

Le figure di Ezzelino il Balbo,

Ezzelino il Monaco e Ezzelino il Terribile

 

Il “Balbo” e il “Monaco”

 

Gli Ezzelini, o Ecelini, sono un importante famiglia medioevale veneta. Di probabile origine tedesca, Arpone ed il figlio Ecelo I arrivano nel Bassanese probabilmente a seguito dell’Imperatore Corrado II di Germania, tra il 1024 e il 1039 e si stabilirono presso il castello di Onara (oggi frazione di Tombolo-PD) dal 1035 circa al 1199 e per questo furono ricordati nei documenti dell’epoca come Ecelini da Onara.

Attraverso matrimoni e concessioni vescovili ampliano la loro area di influenza per tutto l’XI secolo.

A Ecelo I succede Ecelo II, poi Alberico I e quindi Ecelino I o Ezzelino I il Balbo (perché balbuziente).

Nel 1147 Ezzelino I da Onara detto ‘il Balbo’, distintosi per le sue qualità militari, partecipa alla II^ Crociata guidata da Lodovico VII di Francia e da Corrado III di Germania. Come compenso riceverà, al suo ritorno, il territorio della Marca fino ad Oderzo al confine con il Friuli e quello di Mussolente, verso Vicenza, estendendosi lungo tutta la pedemontana.

Ezzelino I fu castellano di Onara, di Romano, Bassano e Godego. Nel 1173 fu Podestà di Treviso e nello stesso periodo fu anche Podestà di Vicenza.

Alla metà del XII secolo governano quindi un territorio che si estende da Bassano a Cittadella e a Castelfranco, in pratica buona parte dei territori dell’Alta Padovana, della pianura nordorientale della provincia di Vicenza e di quella occidentale della Marca trevigiana.

 

Ma di lì a poco cominciano i contrasti con Padova per il controllo di alcuni territori di confine (Grantorto, Carmignano, Fontaniva). Gli Ezzelini a questo punto sono guelfi e strenui sostenitori del Vescovo di Vicenza, al punto che Ezzelino il Balbo è tra coloro che guidano la Lega Lombarda contro Federico Barbarossa.

Sempre nello stesso periodo comincia la faida con i Camposampiero, signori di una località tra Padova e i possedimenti degli Ezzelini. Ma non è per questioni territoriali che la faida si apre, bensì per la bella Cecilia da Abano, prima promessa sposa di Gherardo da Camposampiero e poi data in matrimonio al giovane Da Romano, Ezzelino il Monaco. Cecilia viene rapita e violentata da Gherardo per vendetta, quindi ripudiata da Ezzelino che, per punire Gherardo, ordina in seguito il rapimento di una cognata di Tiso da Camposampiero. L’Alta Padovana e la Marca sono messe a ferro e fuoco dalle due famiglie in cerca di rivalsa e nemmeno l’intervento del Vescovo di Padova placa gli animi.

La Pace di Costanza (1183) e la nascita dei Comuni riavvicinano Ezzelino il Balbo e l’Imperatore Federico. Gli Ezzelini diventano quindi alleati del Comune di Padova e si chiude la sanguinosa faida: Cunizza, figlia di Ezzelino il Balbo e sorella di Ezzelino il Monaco, viene data in sposa a Tisolino da Camposampiero.

Verso la fine del XII secolo gli Ezzelini sono quindi alleati di Azzo d’Este e dei Padovani, intenzionati a contenere le pressioni di Vicenza e Treviso. Le opposte fazioni cominciano a fortificare alcune località al confine tra i rispettivi territori.

L’alleanza dura poco perché già nel 1199 avviene la distruzione del castello di Onara da parte del Comune di Padova. La famiglia si trasferisce quindi nel castello di Romano (attuale Romano d’Ezzelino-VI) e quindi da allora furono chiamati Ezzelini da Romano (secondo alcune fonti, il materiale da costruzione derivante dalla distruzione del castello di Onara, fu impiegato nella costruzione delle mura di Cittadella nel 1220).

All’inizio del XIII secolo i Da Romano entrano di nuovo in conflitto con i Camposampiero e gli Este. Azzo è a capo della Lega di Verona che vorrebbe, con l’aiuto delle città lombarde, fermare l’espansione degli Ezzelini verso ovest.

Ecelino II, o Ezzelino II il “Monaco”,subentrato al padre Ecelino I, fu castellano di Onara fino al 1199, quando spostò la residenza della famiglia a Romano. Continuò a gestire anche i castelli di Bassano, di Godego. Tra il 1191 e il 1193 fu Podestà di Treviso, nel 1200 fu Podestà di Verona e nel 1211 fu Podestà a Vicenza.

 

L’avvento del “Terribile”

Dall’inizio del XIII secolo Ezzelino III, figlio di Ezzelino II, entra sempre di più a definire le politiche della famiglia e a guidarne gli eserciti.

Nel 1213 assedia e sconfigge Este e nel 1221, quando suo padre Ezzelino II decide di ritirarsi in convento (da cui il soprannome “il Monaco”), assume definitivamente la guida del casato. Decide di occuparsi prevalentemente dell’espansione a ovest, lasciando il fratello Alberico a presidiare i possedimenti ad est, nella Marca Trevigiana.

Nelle battaglie per il predominio sui vari territori le crudeltà non si risparmiano, né da parte di Ezzelino, né da quella dei Camposampiero o degli Este. Ezzelino però può contare sull’appoggio di Federico II e parte alla conquista di Vicenza e Verona alla testa di un esercito di oltre 10.000 uomini. Nel 1236 prende le città e fa prigionieri molti padovani che le difendevano, tra cui Marsilio da Carrara. Gli risparmia la vita in cambio dell’aiuto ad avere anche Padova. Ci riesce l’anno successivo, con l’appoggio appunto di Marsilio. Prende anche Cittadella, Camposampiero e Monselice e rinsalda il legame con l’Imperatore sposandone la figlia illegittima Selvaggia. Ezzelino continua ad espandersi e a fare strage di nemici ovunque si rechi: rade al suolo Carrara San Giorgio per sconfiggere definitivamente i Carraresi, prende Montagnana, Castelfranco e si spinge fino a Feltre e Belluno. Non esita a fare stragi nel trevigiano dove regna il fratello Alberico per ripicca nei suoi confronti. Costruisce le famigerate Zilie, le prigioni che sono poi diventate il Castello Carrarese e rinchiude lì migliaia di prigionieri che fa uccidere o morire di stenti. Del tutto insensibile agli inviti alla moderazione di Federico II, quando l’imperatore viene scomunicato da Papa Innocenzo IV, mette a ferro e fuoco alcune roccaforti papaliste. Quattro anni dopo la morte di Federico, nel 1254, anche Ezzelino viene scomunicato e contro di lui viene bandita una crociata da Alessandro IV e guidata da Tiso VII da Camposampiero. Due anni dopo conquistano Padova e costringono Ezzelino a ritirarsi verso Nord e a richieder l’aiuto degli alleati lombardi.

Muore a seguito delle ferite riportate nella battaglia di Cassano d’Adda per la conquista di Milano nel 1259.

L’anno dopo i papalisti conquistano anche il feudo trevigiano retto dal fratello Alberico, lo sconfiggono e trucidano tutta la famiglia, bambini inclusi, dopo averla torturata.

Un ultimo debole tentativo da parte di un lontano nipote dei Da Romano di riprendere Padova, alcuni anni dopo, viene stroncato con la battaglia di Terranegra.

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Da Camino

 

I da Camino o Caminesi furono una nobile famiglia protagonista della storia medievale della Marca Trevigiana.

 

Origini

Di origine longobarda, la famiglia discende probabilmente da un ramo della famiglia dei Collalto, in particolare da Rambaldo I, il cui figlio Guitcillo o Guicillo viene citato nel 958. Suo figlio Guidone avrebbe salvato la vita all’imperatore Corrado di Franconia e da questi ricevette in dono il castello di Montanara (l’attuale Montaner di Sarmede), posto ai piedi del

Cansiglio e non lontano dall’importante strada che univa Veneto e Friuli. Ebbero l’investitura feudale anche i figli di Guidone, Alberto e Guecello che, essendo infeudati di alcune terre tra il Piave e il Livenza, si stabilirono nel castello di Camino, nei pressi di Oderzo.

Da allora gli esponenti della famiglia, prima noti come conti da Montanara, furono indicati come conti da Camino.

Grazie ad investiture vescovili ma anche a privilegi imperiali, ad eredità concesse e a matrimoni combinati con membri di altre famiglie nobili del luogo (in particolare quello di Guecellone II con Sofia di Colfosco), i Caminesi riuscirono ad estendere i propri domini, nel giro di un secolo, nei comitati di Serravalle, Feltre, Belluno oltre che nella zona del Cadore e del Comelico.

 

Le contese con gli Ezzelini

Dopo un breve periodo di decadenza durante il quale il Comune di Treviso riesce a sottomettere la famiglia alla condizione di cittadini (1183-1199), i Caminesi acquistano presso il capoluogo della Marca grande autorità, riprendendo la politica guelfa di Sofia da Camino (ovvero Sofia di Colfosco) e diventando ben presto i principali sostenitori delle fazioni guelfe (ovvero alleate del Papa) contro i ghibellini (filo-imperiali) guidati dalla potente famiglia dei Da Romano.

Durante la lunga lotta con questa famiglia per due volte i Caminesi riescono ad ottenere la preminenza in città (dopo il 1235 e nel 1239): la seconda volta con alleato Alberico da Romano, temporaneamente staccatosi dal partito imperiale, che presto riesce ad essere solitario padrone della città usurpando il potere agli alleati Caminesi e guidando la città con una politica ghibellina.

Ma alla fine sono i guelfi a spuntarla e i Da Romano a soccombere nel 1260: gli stessi guelfi in seguito si stringono intorno a Gherardo da Camino per sconfiggere il rinascente partito ghibellino guidato dalla famiglia dei Castelli, nominandolo signore assoluto della città nel 1283: è l’inizio della signoria caminese su Treviso.

 

La signoria a Treviso

Gherardo subito cerca, riuscendoci, di consolidare il suo potere cancellando definitivamente il partito ghibellino e ogni forma di opposizione; cerca inoltre, con risultati altalenanti, di espandere il proprio dominio anche in Friuli entrando in collisione più volte con gli interessi del Patriarca di Aquileia. Meglio riesce a fare in pace, conservando buone relazione con i Comuni e i signori vicini, cercando nuove alleanze con i matrimoni dei figli, diventando arbitro di pace nella Marca e fuori.

Sostiene la parte guelfa pur non entrando nelle discordie civili ed ospita nella sua corte molti scienziati e letterati tra cui Dante, che spenderà parole di lode per lui nella Divina Commedia e nel Convivio. Nel Comune di Treviso è signore assoluto ed amministra a piacere la giustizia e i conti pubblici della città, ma rafforza la propria posizione tenendosi in ottimi rapporti con i nobili cittadini ed il popolo, per la cura e l’interesse che dimostra per la prosperità pubblica e la cultura (in particolare per quella che diventerà l’Università, ed anche con la Chiesa finanziando le istituzioni religiose cittadine.

Così Gherardo riesce a governare fino alla morte, assicurando la pacifica successione al figlio Rizzardo IV.

Rizzardo aveva già mostrato più volte la sua arroganza e la sua ambizione che in seguito lo spingono ad agire impulsivamente in guerra ed in politica: un tumulto popolare lo costringerà ad abbandonare Udine dopo la sua nomina a signore del Friuli (1309), non tiene dei buoni rapporti con Venezia ed in seguito riesce ad ottenere il vicariato imperiale da Enrico VII, tradendo la secolare politica guelfa familiare, con una mossa che porterà ad una congiura contro di lui e alla sua morte nel 1312.

Il fratello Guecellone prenderà quindi il suo posto, ma, dopo aver fatto gli stessi errori del fratello sarà costretto a fuggire dalla città dopo pochi mesi, ponendo fine alla signoria.

 

La decadenza

Ormai compromesso ed in declino, il casato Caminese perde buona parte dei suoi possessi, con l’estinzione del ramo dei Caminesi di sopra (Rizzardo VI 1335), a vantaggio della Repubblica di Venezia, ansiosa di espandersi in terraferma.

I Caminesi di sotto, aggregati alla nobiltà veneziana, continueranno ad avere un ruolo secondario nelle vicende politiche della Marca fino al 1422, quando perderanno il potere territoriale sui loro ultimi possedimenti, uscendo per sempre dalla scena politica veneta. I Caminesi rimasti continueranno a vivere senza più entrare in vicende politiche: dopo una parentesi in Germania i sopravvissuti si stabiliranno a Cordignano (1604 circa), alla fine del XVIII secolo anche a Trieste (dove Francesco Saverio da Camino si farà notare come medico, scienziato e patriota) e Torino.

Dopo essere stati depredati dagli Austriaci delle ultime ricchezze rimaste, alcuni di loro emigreranno in Brasile in cerca difortuna. Attualmente, l’ultima dei Da Camino ancora residente in Italia è Verde, figlia di Gherardo IX Maria.

Altri discendenti vivono a Porto Alegre.

 

Vittorio Veneto, chiesa di Santa Giustina,

monumento funebre a Rizzardo VI da Camino (1335)

 

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I Collalto

 

sono una nobile casata di origine longobarda.

Prende nome dall’omonima località, oggi frazione del comune di Susegana in provincia di Treviso

 

 

Le origini

La provenienza dei Collalto è avvolta nella leggenda, tuttavia sembra essere certa l’origine longobarda. Pare sia scesa nella penisola italiana con il re dei longobardi Alboino, nel 570. Alcuni territori e centri dell’attuale provincia di Venezia, tra cui la città di Mirano, sembra fossero di loro proprietà già dopo l’assedio di Padova che i Longobardi compirono attorno al 600.

Il capostipite si pensa sia Rambaldo, tenente di Grimoaldo re longobardo, di cui sposò la moglie (672). Improbabile è, infatti, che Gosberto sia stato capostipite, sebbene sia stato alla corte del re come direttore generale (657).

È incerto se Carlo Magno abbia concesso nell’801 il titolo ereditario di “conte (comes) di Treviso” a Gherardo ed Albegonda sua moglie; egli eresse a proprie spese la chiesa di Santa Maria con il relativo monastero di Santa Croce nella città. Tuttavia è documentato che a Pavia, il 25 ottobre 959 Berengario II, re d’Italia, abbia donato al genero Rambaldo I di Collalto alcuni possedimenti vicini alla destra del fiume Piave, quale la corte di Lovadina.

Secondo alcuni studiosi, Rambaldo I provvide alla divisione dei suoi beni tra i due figli Guitcillo I e Rambaldo II. Il primo avrebbe ereditato le terre tra il Livenza ed il Tagliamento, dando vita alla dinastia dei Da Camino. Il secondo ebbe invece i territori a sud-ovest del fiume Livenza.

Rambaldo II era al seguito di Ottone III quando questi andò a Roma per l’incoronazione. per accompagnarlo per l’incoronazione ad imperatore (996). Da lui ricevette numerosi privilegi, nonché il bosco del Montello (diploma del 14 novembre 994) ed il castello di Rovigo (diploma del 12 giugno 996).

Il figlio Rambaldo III fondò con la madre Gisla l’abbazia di Nervesa (1062), divenuta in seguito una potente istituzione alla quale papa Gregorio IX assegnò trentacinque chiese (12 maggio 1231).

 

Il Medioevo

Il primo centro fortificato di Collalto, posto su una collina rivolta al fiume Piave, è verosimilmente databile attorno al 1110 quando ad Ansedisio (o Ensedisio) furono assegnate quelle terre per controllare i guadi sul fiume. È documentata l’organizzazione amministrativa dei Collalto nel 1138.

Gli scritti antichi ricordano che Arsedisio e Widotto cedettero, nel 1117, alcuni territori della odierna provincia di Venezia all’Abbazia Sant’Ilario di Venezia, tra i quali Mirano, Scaltenigo, Vetrego: questi beni che erano stati ereditati da una loro ava, tale Gisla, moglie di Guido da Spoleto.

Nel 1245 il conte Schenella III acquistò la collina di San Salvatore, nei pressi di Susegana, da parte del podestà di Treviso Alberico da Romano.

I Collalto collaborarono molto con la Chiesa e nelle loro terre fiorirono pievi, ospizi e monasteri, come quello benedettino di Sant’Eustachio di Nervesa della Battaglia.

Giuliana, figlia di Rambaldo VI, fondò, ai primi del XIII sec., il monastero dei Santi Biagio e Cataldo a Venezia e, per aver dedicato l’intera vita al soccorso dei poveri, fu popolarmente considerata una santa.

 

Castello di Collalto 

a Collalto di Susegana (TV)

 

Castello di San Salvatore

di Susegana (TV)

Il centro del potere dei Collalto era centrato sui castelli di Collalto e di San Salvatore e quando nel 1312 (o 1321) Rambaldo VIII ricevette dall’imperatore Enrico VII la piena giurisdizione feudale, la contea divenne quasi un principato indipendente con leggi proprie (da ricordare gli Statuta Collalti). Mentre il castello di Collalto controllava amministrativamente anche le località di Falzè di Piave, Sernaglia (ora comune Sernaglia della Battaglia), Barbisano (ora frazione di Pieve di Soligo) e Refrontolo, quello di San Salvatore amministrava Santa Lucia di Piave, Colfosco di Susegana e Susegana.

Interessante fu la figura di Schinella VI. Per due anni (1379 – 1380) fu al servizio del Patriarca di Aquileia, nel 1387 lo si ritrova, in qualità di conte palatino, al seguito di Gian Galeazzo Visconti in Francia. Ma nel 1390 fu segnalato al servizio di Francesco Da Carrara contro i Visconti tanto che, quando Francesco morì (1393, fu tra i nobili presenti al funerale. Nel 1394 combatteva con i Da Camino a Ferrara e, nel 1395, fu a servizio dei Da Polenta a Rimini. Per aver sconfitto gli Ungari, invasori del Veneto, ricevette le riconoscenze (1413) del Doge della Repubblica di Venezia. Sembra sia spirato nel 1415.

 

La Repubblica di Venezia

Dunque i Collalto, pur conservando formalmente la loro indipendenza, divennero patrizi della Repubblica di Venezia rivestendo incarichi nella magistratura e partecipando alla difesa della città. Ne è esempio Toso da Collalto che si distinse in diverse imprese belliche: dal 1527 al 1533 fu prevalentemente in Lombardia, escluso il 1532, quando fu impegnato presso l’isola di Corfù. Morirà attorno al 1540.

Nel 1623 l’imperatore d’Austria, per ringraziare Rambaldo XIII degli indispensabili aiuti militari, assegnò alla famiglia alcuni territori e castelli in Moravia

Nel 1806 Napoleone abolì le organizzazioni feudali e la contea si trasformò nel comune di San Salvador, attualmente comune di Susegana.

 

Dall’Impero Asburgico ad oggi

Nel 1822, caduto da tempo Napoleone, gli Asburgo assegnarono ai primogeniti dei Collalto il titolo di principi dell’Impero.

Primo fu Odoardo III (1747- 1833), con i titoli di “Principe di Collalto e San Salvatore, Patrizio Veneto e Nobile di Treviso; Comandante dell’Arsenale di Venezia, Podestà di Brescia, Inquisitore di Stato, Capo del Consiglio dei X, Generale a Palma e Ciambellano imperiale”.

 

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Camposampiero

 

 

Si affermarono forse già dal X secolo, ma il capostipite è considerato Tiso, nobile di origine germanica, giunto in Italia al seguito dell’imperatore Enrico II nel 1013.

Il sovrano lo investì di un feudo attorno a Camposampiero, in territorio Padovano, da cui la famiglia prese il nome.

Sede del feudo fu un castello edificato attorno al 1085 dai discendenti Tiso II e Gherardo I (l’attuale Palazzo Tiso, sede del comune di Camposampiero).

Col tempo la famiglia estese i propri domini anche in territorio di Treviso (in particolare Treville, Loreggia e Rustega), risultando quindi coinvolta anche nelle vicende politiche di questo Treviso.

 

Da ricordare:

Tisolino (XII secolo), distintosi nella cacciata dei vicari dalla Marca (1164); i figli

Gherardo, che aprì le ostilità contro i da Romano, e

Tiso VI, pure coinvolto nelle lotte tra guelfi e ghibellini;

Tiso VII (figlio di Tiso VI), che contribuì alla caduta di Ezzelino “il Tiranno”; suo figlio

Tiso VIII (m. 1312), capo della fazione guelfa di Treviso durante il quale la famiglia fu all’apogeo.

 

Contrastarono anche i Carraresi a Padova e gli Scaligeri a Verona (si veda in particolare Giovi); contribuirono inoltre alla cacciata degli Azzoni da Treviso.

In seguito, tuttavia, la famiglia cominciò a decadere e, specie dopo l’arrivo della Serenissima, persero gran parte dei feudi.

Passati dunque al servizio di Venezia, fecero parte del Consiglio dei Nobili di Padova (1423).

Dal 1692 furono conti del Sacro Palazzo.

 

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Tempesta

 

 

I Tempesta sono una nobile famiglia veneta, protagonista nel medioevo delle vicende storiche della Marca Trevigiana.

 

Per molto tempo si è ritenuto che i Tempesta discendessero dai Camposampiero, ma studi più recenti hanno ipotizzato che l’origine sia da ricercare in un ramo dei Carbonara.

In effetti, Bertaldo Malsperone Carbonara lasciava, nel 1119, all’erede Guido Tempesta i suoi possedimenti presso Anoale (l’attuale Noale) e la carica di avogaro del vescovo e del capitolo di Treviso. È ovvio che Bertaldo doveva essere un parente stretto del Tempesta, se non addirittura il padre. Noale, con la sua rocca, resterà sino al Trecento il fulcro dei possedimenti della famiglia.

 

In quanto avogari, i Tempesta avevano il compito di amministrare dei beni ecclesiastici. Naturalmente era un ufficio che dava vantaggi non solo al vescovo, ma anche all’avogaro stesso che vedeva così ampliati i suoi poteri ed ingrandito il suo prestigio.

Con l’affermazione del comune di Treviso e la conseguente diminuzione dei poteri vescovili, la carica finì per essere pressoché simbolica.

 

La famiglia era riuscita ad essere benvoluta sia al comune di Treviso, sia a quello di Padova. Ad esempio, nel 1178 Guglielmino si era furbescamente procurato, oltre a quella trevigiana, la cittadinanza di Padova e l’anno successivo veniva eletto podestà della città.

 

Difficile ricostruire l’ampiezza dei possedimenti dei Tempesta e non è chiaro nemmeno il motivo per cui essi furono in gran parte venduti nel corso del XIII secolo. Da ricordare, però, che durante le signorie dei Da Romano prima e dei Da Camino poi, la famiglia perdette il suo ruolo di primo piano nelle vicende politiche di Treviso.

Un altro duro colpo subirono all’inizio del XIV secolo quando la famiglia, cercando di riacquisire la sua importanza nella vita pubblica, rivendicò la facoltà di imporre dazi. Un processo, sancì che questo diritto, detto muda, apparteneva al comune di Treviso.

 

L’avvento degli Scaligeri sulla scena veneta, divise Treviso tra i contrari all’alleanza con Verona e i favorevoli. Sappiamo che Guecello Tempesta era il maggior esponente di quelli favorevoli.

   La rocca di Noale
  Torre del castello di Noale

 

Nel 1336 egli sfuggì ad un attentato a Treviso. Rifugiatosi nella rocca di Noale, sede del suo potere, assoldò un gruppo di mercenari e pose Treviso sotto il suo controllo, arrestando e giustiziando gli oppositori. Annetté dunque Treviso a Verona e ottenne in cambio una signoria.

Notando però che la situazione degenerava a sfavore degli Scaligeri, si alleò a Venezia (1337) e ottenne il comando delle truppe della Serenissima dal Piave al Brenta e vide riconfermati i suoi poteri feudali.

 

Nel 1339 sconfitti gli Scaligeri e morto da un anno Guecello, Venezia provvide a smantellare la signoria. Il figlio di Guecello, Meladugio, perse gran parte dei diritti commerciali e feudali. Ma alla morte di questi, nel 1342 i padovani combinarono il matrimonio tra la vedova e un tale De Rossi che acquisì l’eredità dei Tempesta. Venezia non tardò a riconquistarla e infine alla famiglia fu concessa la sovranità solamente sul castello di Noale.

Nel 1364 gli ultimi esponenti si ritirarono nel castello di Crespignaga, dove nel 1380 morì Marco, ultimo erede legittimo.

 

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Peraga

 

I Peraga o da Peraga furono una nobile famiglia padovana, signori di un feudo attorno a Mirano.

 

Discenderebbero da un’altra importante famiglia, i Fontaniva, signori dell’omonima cittadina oggi in provincia di Padova. Il nome della casata trae origine da Peraga, ora frazione del comune di Vigonza, dove possedevano un castello, distrutto nel 1319 da Jacopo da Carrara, Signore di Padova.

 

Castello dei Peraga

a Peraga di Vigonza

 

Alcuni esponenti:

Secondo alcune fonti i Peraga erano imparentati coi Camposampiero: una Gordonisia Peraga fu la seconda moglie di Tiso VI (morto nel 1234), mentre una Porzia Peraga sposò Tisolino il Maggiore (XIII secolo).

Nel 1237 un Affricano Peraga difese, al servizio di Padova, il castello di Cartura di Conselve nella guerra contro Ezzelino da Romano.

Nel 1248, un Filippo Peraga , insieme ad Azzo d’Este e ad altri feudatari, partecipò senza successo alla congiura contro Ezzelino da Romano il quale, nel 1251, fece decapitare Pietro e Giovanni Peraga. L’unica erede rimasta, Dalzanella o Bolzonella di Pietro, sposò nel 1303 il patrizio veneziano Marin Zen dei Badoer recandogli in dote i beni e i titoli nobiliari. La famiglia si chiamò da allora Badoer da Peraga.

 

Le vicissitudini videro i Peraga perdere e riacquisire più volte i propri possedimenti.

Tra il 1319 e il 1320, Cangrande della Scala, in guerra contro Padova, assalì e distrusse completamente il loro castello di Mirano.

Nel 1325 erano ritornati in possesso di Mirano e riedificarono un fortilizio.

In seguito, tra il 1331 e 1337, il castello di Mirano fu occupato dai Veneziani, ma nel 1337 tornò sotto il controllo dei Peraga.

Da ricordare particolarmente anche la figura di Bonaventura Badoer Peraga, cardinale e amico del Petrarca che fu suo ospite nel castello di Mirano.

Giovanni Peraga fu capitano della Padova dei Carraresi, si distinse, come condottiero, in alcune azioni militari: nell’autunno del 1372, entrò di sorpresa nel castello di Noale; nella primavera del 1373 attaccò prima Cittadella, quindi Bassano e infine si scontrò con i Veneziani presso la bastia di Serraporci, a Campagna Lupia; nell’estate dello stesso anno, sconfisse i Veneziani e gli alleati Turchi a Medicina; nell’estate del 1378 partecipò all’assedio del castello di Mestre.

 

Con la conquista di Padova ad opera della Repubblica di Venezia nel 1405, l’appellativo da Peraga andò progressivamente in disuso e rimanendo solo il cognome Badoer.

 

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