Alberi
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1 – Acero campestre – Acer campestre
L’Acero campestre (Acer campestre L.) è un piccolo albero (di norma 7-12 m) diffuso in Europa e Asia. In Italiano viene anche chiamata loppo o testucchio. In Italia è molto comune nei boschi di latifoglie mesofile, insieme alle querce caducifoglie dal livello del mare fino all’inizio della faggeta.
Chioma e fusto
Albero di modeste dimensioni (può raggiungere i 18-20 metri di altezza come massimo), con tronco spesso contorto e ramificato; chioma rotondeggiante lassa. La corteccia è bruna e fessurata in placche rettangolari. I rametti sono sottili e ricoperti da una peluria a differenza di quanto accade negli altri Aceri italiani.
Foglie
Foglie semplici, a margine intero e ondulato, larghe circa 5-8 cm, a lamina espansa con 5 o 3 lobi ottusi, picciolate, di colore verde scuro. Sono ottime e nutrienti per gli animali.
Fiori
Piccoli fiori verdi, riuniti in infiorescenze. Il calice ed il peduncolo dei fiori sono pubescenti. Fiorisce in aprile-maggio in contemporanea all’emissione delle foglie. Le infiorescenze possono essere formate sia da fiori unisessuali che ermafroditi.
Frutti
I frutti sono delle disamare alate. Le singole samare sono portate in modo orizzontale (carattere distintivo).
Usi
L’acero campestre è una pianta mellifera. Le sue foglie vengono utilizzate come foraggio.
Il legno è chiaro, duro e pesante e tende a deformarsi: viene quindi usato solo per la fabbricazione di piccoli oggetti. Essendo un albero di modeste dimensioni e sopportando bene il taglio, è stato ampiamente utilizzato come tutore per la vite. È inoltre un ottimo combustibile, un tempo particolarmente diffuso in pianura padana. Attualmente trova impiego come albero ornamentale e da siepe, per via della sua efficacia nel consolidamento dei terreni franosi.
Possiede proprietà lievemente anticoagulanti, aiuta nella prevenzione delle calcolosi e nelle cure successive alle manifestazioni di Herpes zoster; il decotto di corteccia è usato anche come rinfrescante intestinale.
Antiche credenze popolari conferivano all’acero proprietà magiche contro le streghe, i pipistrelli, e la sfortuna.
Il decotto di corteccia è utilizzato negli eritemi della pelle; alcune persone usano aggiungere all’acqua del bagno, un pugno di corteccia tritata per rinfrescare la pelle.
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2 – Acero montano – Acer pseudoplatanus
Morfologia È una pianta decidua ad alto fusto che può raggiungere 25–40 m di altezza e un diametro del tronco di 3,5 m. Ha una chioma globosa e ampia; la corteccia è inizialmente grigia o giallastra per poi tendere al rossastro e distaccarsi in grandi placche.Ha gemme opposte, come tutti gli aceri. I fiori appaiono dopo la comparsa delle foglie. Il frutto è una doppia samara. Negli alberi adulti ricorda la corteccia del platano, da cui il suo nome scientifico. |
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L’acero montano – conosciuto anche come sicomoro | |
Foglie | |
Fasi della apertura di una gemma |
Distribuzione e habitat
La specie è molto diffusa in Europa centrale e occidentale (Francia, Benelux, Germania, Svizzera, Austria, Polonia, Russia), nel bacino del Mediterraneo (Spagna, Portogallo, Italia, Albania, Bulgaria, ex-Jugoslavia, Grecia), in Asia minore (Turchia) e nella regione del Caucaso.
In Italia esso è un albero delle zone montuose, tuttavia compare anche a quote poco elevate: ad esempio è presente sporadicamente nell’alta pianura ai piedi delle Alpi ed è comune sulle prealpi. Lo si incontra fino ad un’altitudine di 1500-1900 m. Trova il suo optimun negli acero frassineti e nelle faggete. In pianura padana è quasi completamente sostituito dall’acero campestre.
Nell’Europa centrale è presente ad altitudini via via inferiori, man mano che ci si sposta verso nord.
Usi
Specie simili
L’acero montano e l’acero riccio sono specie simili e spesso vengono fra loro confuse, soprattutto in ambito urbano, essendo entrambe le specie usate nei parchi, giardini e nelle alberature stradali.
- la corteccia delle piante adulte: nell’acero di monte è simile a quella del platano, cioè tende a staccarsi in grandi placche, mentre nell’acero riccio rimane liscia e solo con l’età appare finemente fessurata in senso longitudinale.
- le gemme: nell’acero montano sono verdi, mentre nell’acero riccio sono decisamente più rossastre.
- Le samare sono molto utili, perché nell’acero di monte il seme ivi contenuto è rotondo, anziché appiattito, e se separato dal frutto si mostra fittamente coperto di filamenti biancastri. Inoltre, poiché la fioritura dell’acero di monte è successiva alla comparsa delle foglie, le samare si trovano in cima al rametto. Nell’acero riccio, invece, le infiorescenze fanno comparsa prima della schiusa delle gemme e quindi le samare si trovano all’ascella dei rametti dell’anno.
- Gli alberi a foglie color bordeaux, che si trovano in ambiente urbano, sono quasi sempre cultivar dell’acero riccio.
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3 – Acero riccio – Acer platanoides
Di Martin Bobka collegamento |
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L’Acero riccio o platanoide
(Acer platanoides), appartenente alla famiglia delle Aceraceae, è una pianta spontanea in molti boschi di latifoglie umidi e riparati.
Viene spesso coltivato a scopo ornamentale.
Morfologia
La pianta raggiunge l’altezza di 20 metri.
La chioma è composta da foglie decidue, palmate a 5 lobi poco profondi e dentati.
I fiori sono giallo crema, in corimbi eretti prima della fogliazione; fiorisce in aprile-maggio.
I frutti sono samare ad ali divergenti di 160°.
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Betulla (Betula, Linnaeus) è un genere di piante della famiglia delle Betulaceae, generica-mente note come betulle.
Il genere comprende oltre 40 specie originarie dell’emisfero nordico, in special modo le zone scandinave.
Il nome del genere deriva dal celtico betu che significa appunto “albero”.
Descrizione
Si tratta di alberi e arbusti a fogliame deciduo che possono raggiungere i 15-30 m di altezza, foglie variamente formate e sfumate di verde a seconda della specie o varietà. La specie più diffusa è la Betula pendula (= B. verrucosa), da alcuni autori considerata una sottospecie o varietà di B. alba e chiamata volgarmente betulla bianca, betulla pendula o betulla d’argento, e predilige terreni acidi, poveri, sabbiosi o ciottolosi. Mentre la Betula pubescens, nota col nome di betulla pelosa o betulla delle torbiere, dalle foglie pelose, predilige terreni paludosi o torbosi ed è di dimensioni analoghe alla B. pendula, anche se si presenta più frequentemente come alberetto o cespuglio.
Le betulle si caratterizzano per la corteccia bianca argentata, dovuta alla presenza di granuli di betulina; sono dotate di una notevole rusticità, resistendo a condizioni ambientali avverse, quali geli improvvisi e prolungati e lunghi periodi di siccità; sono diffuse nelle regioni del Picetum, Fagetum e Castanetum, ma si spingono anche nelle zone superiori e inferiori.
Coltivazione
Le betulle vengono coltivate come piante ornamentali per l’eleganza del fogliame e il fusto dalla corteccia bianca maculata di nero, in parchi o giardini, su terreni sciolti e freschi. In silvicoltura vengono utilizzate per consolidare frane, detriti di falda o per il rimboschimento di pascoli e cedui.
Nell’arboricoltura da legno viene coltivata a fustaia con turni di 40-50 anni, o più raramente a ceduo per la produzione del legname usato nell’industria del mobile. Viene anche coltivata per le proprietà officinali e medicinali. Si moltiplica naturalmente per seme, per talea dei polloni.
Avversità
Nonostante sia attaccata da innumerevoli parassiti animali e vegetali, subisce danni limitati e solo in condizioni particolari subisce attacchi di una certa gravità.
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5 – Carpino bianco (Carpinus betulus )
Il Carpino bianco (Carpinus betulus L.) è un albero della famiglia delle Betulaceae, sottofamiglia Coryloideae, diffuso nell’Europa occidentale.
Descrizione
Il carpino bianco è un albero poco longevo (150 anni), di media altezza (15-20 m) con portamento dritto e chioma allungata. La corteccia si presenta sottile, liscia al tatto, di colore grigio, irregolare per il fusto scanalato e costolato.
Le radici sono fascicolate e molto ramificate. Le foglie sono alterne, semplici, brevemente picciolate, ovato-oblunghe, con nervature in rilievo e ben visibili sulla pagina inferiore, con apice acuminato e margine finemente e doppiamente dentato. Ingialliscono in autunno ma permangono secche sui rami anche per lungo tempo, specie sulle piante di giovane età.
I fiori sono unisessuali, riuniti in infiorescenze (amenti) anch’essi unisessuali e portati sul medesimo individuo (specie monoica). I fiori maschili sono tozzi e penduli, nudi, con 6-12 stami portati singolarmente per ogni brattea. I fiori femminili sono corti, situati poco sotto l’apice dei rami, hanno perigonio e sono portati a coppie su una serie di brattee e bratteole che nel frutto diverranno una brattea triloba, tipica della specie. Fiorisce nel mese di aprile.
Il frutto è un achenio che contiene un seme non alato. La propagazione è anemocora (attraverso il vento).
Ecologia
Da un punto di vista ecologico, la specie può tollerare una certa ombra e necessita di temperature relativamente elevate, è invece esigente per quanto riguarda il suolo. È miglioratrice del terreno ed è dotata di notevole capacità pollonifera.
Costituisce il piano inferiore nei querco-carpineti della regione planiziale e avanalpica planiziale e di media collina dove la rinnovazione delle querce è sempre molto abbondante, ma a distanza di un paio d’anni la presenza delle giovani piantine è pressoché nulla.
Nel querco-carpineto collinare, dove si verifica un tempo di permanenza della Farnia più lungo rispetto alle formazioni planiziali, la gestione selvicolturale di queste formazioni prevede l’applicazione delle teorie che si rifanno alla cosiddetta Selvicoltura di qualità.
Specie simili
Ha somiglianza con il carpino nero (Ostrya carpinifolia), ma raramente queste due specie arboree possono essere confuse, in quanto possiedono differenti ecologie.
La sua ecologia è più delicata rispetto a quella del carpino nero, essendo una specie sciafila e mesofila: esige quindi estati calde e suoli freschi ma che non siano marcatamente idromorfi, con pH da neutro a leggermente acido, con humus di tipo mull e con substrati carbonatici (arenaceo-marnosi). Raramente vive a quote sopra i 600 metri.
Usi
Produce un legno pesante, duro, ma poco duraturo soprattutto se esposto in ambiente umido, di colore chiaro e utilizzato sia per oggetti di piccole dimensioni, come birilli, scacchi, raggi di ruote o ingranaggi, che come ottimo combustibile. Il legno è indifferenziato, di colore bianco-grigio, duro e pesante, con fibratura spesso contorta e con densità di 800 kg/m3.
Il legno prodotto in genere viene utilizzato a fini energetici, avendo un elevato potere calorifico.
Distribuzione
Il carpino bianco ha una ampia distribuzione nell’Europa centrale con limiti ai Pirenei e al Galles. In Italia si trova con frequenza nell’orizzonte montano fino a 900-1000 m come costituente dei boschi mesofili insieme alle querce caducifoglie e al faggio. In pianura si trova insieme alla Farnia a costituire le foreste planiziali. È presente anche nelle zone più fredde e umide della Pianura Padana. Manca nelle isole. È utilizzato per formare siepi, cedui per produrre legna da ardere, per alberature cittadine e come albero ornamentale in parchi e giardini.
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6 – Castagno – Castanea sativa
Il castagno europeo (Castanea sativa, Miller), in Italia più comunemente chiamato castagno, è un albero a foglie caduche appartenente alla famiglia delle Fagaceae. La specie è l’unica autoctona del genere Castanea presente in Europa, ma negli ultimi decenni è stato sovente introdotto, per motivi fitopatologici, il castagno giapponese (Castanea crenata). Le popolazioni presenti in Europa sono perciò principalmente riconducibili a semenzali di castagno europeo o a castagni europei innestati sul giapponese o a ibridi delle due specie.
Importanza economica e diffusione
Il castagno è una delle più importanti essenze forestali dell’Europa meridionale, in quanto ha riscosso, fin dall’antichità, l’interesse dell’uomo per i molteplici utilizzi. Oltre all’interesse intrinseco sotto l’aspetto ecologico, questa specie è stata largamente coltivata, fino ad estenderne l’areale, per la produzione del legname e del frutto. Quest’ultimo, in passato, ha rappresentato un’importante risorsa alimentare per le popolazioni rurali degli ambienti forestali montani e collinari, in quanto le castagne erano utilizzate soprattutto per la produzione di farina.
L’importanza economica del castagno ha attualmente subito un drastico ridimensionamento: la coltura da frutto è oggi limitata alle varietà di particolare pregio e anche la produzione del legname da opera si è marcatamente ridotta. Del tutto marginale, infine, è l’utilizzo delle castagne per la produzione della farina, che ha un impiego secondario nell’industria dolciaria.
Si ritiene che buona parte delle superfici forestali a castagno siano derivate da una rinaturalizzazione di antiche coltivazioni abbandonate nel tempo, mentre la coltivazione si è ridotta alle stazioni più favorevoli, dove è possibile ottenere le migliori caratteristiche merceologiche del prodotto, in particolare il legname.
Descrizione botanica
Il castagno è una pianta a portamento arboreo, con chioma espansa e rotondeggiante e altezza variabile, secondo le condizioni, dai 10 ai 30 metri.
In condizioni normali sviluppa un grosso fusto colonnare, con corteccia liscia, lucida, di colore grigio-brunastro. La corteccia dei rami è di colore bianco ed è cosparsa di lenticelle trasverse. Con il passare degli anni, la corteccia si screpola longitudinalmente.
Le foglie sono alterne, provviste di un breve picciolo e, alla base di questo, di due stipole oblunghe. La lamina è grande, lunga anche fino a 20-22 cm e larga fino a 10 cm, di forma lanceolata, acuminata all’apice e seghettata nel margine, con denti acuti e regolarmente dislocati. Le foglie giovani sono tomentose, ma a sviluppo completo sono glabre, lucide e di consistenza coriacea.
I fiori sono unisessuali, presenti sulla stessa pianta. I fiori maschili sono riuniti in piccoli glomeruli a loro volta formanti amenti eretti, lunghi 5-15 cm, emessi all’ascella delle foglie. Ogni fiore è di colore biancastro, provvisto di un perigonio suddiviso in 6 lobi e un androceo di 6-15 stami. I fiori femminili sono isolati o riuniti in gruppi di 2-3. Ogni gruppo è avvolto da un involucro di brattee detto cupola.
Il frutto è un achenio, comunemente chiamato castagna, con pericarpo di consistenza cuoiosa e di colore marrone, glabro e lucido all’esterno, tomentoso all’interno. La forma è più o meno globosa, con un lato appiattito, detto pancia, e uno convesso, detto dorso. Il polo apicale termina in un piccolo prolungamento frangiato, detto torcia, mentre il polo prossimale, detto ilo, si presenta leggermente appiattito e di colore grigiastro. Sul dorso sono presenti striature più o meno marcate, in particolare nelle varietà del gruppo dei marroni. Questi elementi morfologici sono importanti ai fini del riconoscimento varietale.
Gli acheni sono racchiusi, in numero di 1-3, all’interno di un involucro spinoso, comunemente chiamato riccio, derivato dall’accrescimento della cupola.
A maturità, il riccio si apre dividendosi in quattro valve. Il seme è ricco di amido.
Esigenze ed adattamento
Il castagno è una specie mesofila e moderatamente esigente in umidità. Sopporta abbastanza bene i freddi invernali, subendo danni solo a temperature inferiori a -25 °C, ma diventa esigente durante la stagione vegetativa. Per questo motivo il castagno ha una ripresa vegetativa tardiva, con schiusura delle gemme in tarda primavera e fioritura all’inizio dell’estate. Al fine di completare il ciclo di fruttificazione, la buona stagione deve durare quasi 4 mesi. In generale tali condizioni si verificano nel piano submontano delle regioni mediterranee o in bassa collina più a nord. In condizioni di umidità favorevoli può essere coltivato anche nelle stazioni fresche del Lauretum, spingendosi perciò a quote più basse. Condizioni di moderata siccità estiva determinano un rallentamento dell’attività vegetativa nel mezzo della stagione e una fruttificazione irregolare. Le nebbie persistenti e la piovosità eccessiva nei mesi di giugno e luglio ostacolano l’impollinazione incidendo negativamente sulla fruttificazione.
Nelle prime fasi tollera un moderato ombreggiamento, fatto, questo, che favorisce una buona rinnovazione nei boschi maturi, ma in fase di produzione manifesta una maggiore eliofilia.
A fronte delle moderate esigenze climatiche, il castagno presenta notevoli esigenze pedologiche, perciò la sua distribuzione è strettamente correlata alla geologia del territorio. Sotto l’aspetto chimico e nutritivo, la specie predilige i terreni ben dotati di potassio e fosforo e di humus. Le condizioni ottimali si verificano nei terreni neutri o moderatamente acidi; si adatta anche ad un’acidità più spinta, mentre rifugge in genere dai suoli basici, in quanto il calcare è moderatamente tollerato solo nei climi umidi.
Sotto l’aspetto granulometrico predilige i suoli sciolti o tendenzialmente sciolti, mentre non sono tollerati i suoli argillosi o, comunque, facilmente soggetti ai ristagni. In generale sono preferiti i suoli derivati da rocce vulcaniche (tufi, trachiti, andesiti, ecc.), ma vegeta bene anche nei suoli prettamente silicei derivati da graniti, arenarie quarzose, ecc., purché sufficientemente dotati di humus.
I suoli calcarei sono tollerati solo nelle stazioni più settentrionali, abbastanza piovose, mentre sono mal tollerate le marne.
Attuale area di distribuzione
Il castagno vegeta in un areale circumediterraneo, ad estensione frammentata, che si estende dalla penisola iberica alle regioni del Caucaso prossime al Mar Nero. In Europa, la maggiore estensione si ha nelle regioni occidentali: è diffuso nel centro e nord del Portogallo e nelle regioni settentrionali della Spagna, in gran parte del territorio della Francia, fino ad estendersi nel sud dell’Inghilterra, nel versante tirrenico della penisola italiana e nell’Arco alpino fino ad arrivare alla Slovenia e alla Croazia. Qui l’areale si interrompe per riprendere dalle regioni meridionali della Bosnia e del Montenegro ed estendersi in gran parte dei territori dell’Albania, della Macedonia e della Grecia. Infine riprende dalle regioni occidentali della Turchia per estendersi a quelle settentrionali, lungo il Mar Nero, fino al Caucaso.
Diffusioni sporadiche si hanno in Germania, in Bulgaria e Romania e nel Nordafrica, nelle regioni dell’Atlante. Nel Mediterraneo, infine, è presente in gran parte del territorio della Corsica, nelle regioni centrali della Sardegna, in quelle settentrionali della Sicilia e, infine, in quelle centrali dell’Isola d’Elba.
In Italiavegeta nella zona fitoclimatica del Castanetum, a cui dà il nome, estendendosi anche nelle zone più fresche del Lauretum, per introduzione da parte dell’uomo. In genere si ritrova su quote variabili dai 200 metri s.l.m. fino agli 800 m nelle zone alpine, mentre nell’Appennino meridionale può spingersi fino ai 1000-1300 metri. La distribuzione è frammentata perché legata a particolari condizioni climatiche e geologiche. La maggiore diffusione si ha perciò in tutto il versante tirrenico della penisola, dalla Calabria alla Toscana e alla Liguria, e nel settore occidentale dell’arco alpino piemontese. Nel versante adriatico e nel Triveneto la sua presenza è sporadica e nella Pianura Padana è praticamente assente. Nelle isole è presente in areali frammentati nelle isole maggiori, circoscritti alle stazioni più fresche. La concentrazione di maggior rilievo si ha in Campania, che contribuisce per circa un terzo all’intera produzione nazionale di castagne.
È dunque una tipica essenza degli ambienti boschivi collinari e di quelli montani di bassa quota. L’ecosistema forestale tipico del castagno è la foresta deciduatemperata mesofila, dove forma associazioni in purezza o miste, affiancandosi alle Quercus (per lo più farnia e roverella), al frassino, al carpino nero, al noce, alnocciolo, ecc. Per le sue caratteristiche è una specie strettamente associata alla roverella, tipica mesofita della foresta mediterranea decidua. La diffusione del castagno nella storia
La diffusione del castagno nella storia
Sul castagno c’è una sostanziale incertezza in merito alla sua origine, ai processi che ne hanno determinato la sua distribuzione e alla natura delle formazioni forestali in cui è presente. In passato si riteneva che la specie fosse originaria del bacino sudorientale del Mar Nero (regioni del Pontoe del Caucaso occidentale) e che da qui fu propagato, nel corso dei secoli, dai Greci e dai Romani. Questa teoria è oggi superata in quanto le indagini dai ritrovamenti di granuli pollinici preistorici fanno ritenere che l’ultima glaciazione (Würm) abbia ridotto sensibilmente l’areale della specie. L’ipotesi attualmente più accreditata è che il castagno avesse un’ampia distribuzione in Europa nel Cenozoico, ma che nel corso delle glaciazioni pleistoceniche l’areale si sia progressivamente contratto verso sud. Nel corso dell’ultima glaciazione, la specie si ritirò definitivamente nell’Asia Minore.
La successiva diffusione in tutta l’Europa ebbe inizio con i Greci, fu ampliata dai Romani e proseguì ininterrottamente per tutto il Medio Evo per opera degli ordini monastici Lo scopo di questa estensione era la sua duplice funzione, come risorsa amidacea (castagne) e tecnologica (legname da opera).
La crisi del castagno ebbe inizio a partire dal Rinascimento, presumibilmente in concomitanza con il progresso tecnico in agricoltura e con il crescente sviluppo della cerealicoltura. Da allora e fino all’Ottocento, il castagno subì un lento e progressivo abbandono, nonostante si verificassero espansioni di portata locale che, nel corso dei secoli, fecero variare la distribuzione della castanicoltura, almeno in Italia.
Alla fine dell’Ottocento iniziò il declino vero e proprio della castanicoltura, protraendosi per decenni a causa del concorso di molteplici cause: l’evoluzione delle abitudini alimentari delle popolazioni europee, l’introduzione di materiali alternativi quali il metallo e la plastica nell’allestimento di manufatti e opere infrastrutturali, civili e agricole, la crisi dell’industria del tannino dopo gli anni trenta, il crescente interesse verso altre essenze forestali da legno, alternative al castagno (robinia e ciliegio), la pressione antropica sugli ambienti forestali.
Alla riduzione delle superfici forestate a castagno hanno inoltre contribuito, in modo non trascurabile, le decimazioni causate dalle due più importanti crittogame associate a questa specie, Phytophthora cambivora e, più recentemente, Phytophthora cinnamoni, agenti del mal dell’inchiostro, ed Cryphonectria parasitica, agente del cancro del castagno. All’azione di questi parassiti si aggiungono anche gli attacchi degli insetti xilofagi, che in genere si sviluppano a spese di piante indebolite da condizioni ambientali non favorevoli.
Nel complesso, la castanicoltura si è fortemente ridimensionata, ed è circoscritta alle aree di maggiore vocazione, sia per le castagne sia per il legno, mentre i castagneti progressivamente abbandonati nel corso dei secoli sono scomparsi o si sono evoluti verso un’associazione boschiva rinaturalizzata.
Utilizzo :
Frutto
Il frutto è utilizzato da tempi antichissimi, come si è detto, per la produzione di farine. Questo impiego ha oggi un’importanza marginale e circoscritta alla produzione di dolci tipici, come il castagnaccio e il Panmorone. Ancora diffusa è invece la destinazione dei frutti di buon pregio al consumo diretto, concentrato nei mesi autunnali, e alla produzione industriale di confetture e marron glacé. Interesse del tutto marginale ha il possibile impiego dei frutti come alimento per gli animali domestici.
Tannini
La corteccia e il legno del castagno sono ricchi di tannini e possono essere impiegate per la sua estrazione, destinata alle concerie. Questa destinazione d’uso, in Italia, ha riscosso un particolare interesse nei primi decenni del XX secolo, epoca in cui l’industria del tannino nazionale faceva largo impiego del castagno, ma dopo il 1940 ha perso importanza sia per la contrazione di questo settore sia per il ricorso, come materia prima, al legno di scarto.
Legno
Il legno di castagno è caratterizzato dalla formazione precoce del durame, perciò presenta un alburno sottile. Il durame è bruno, mentre l’alburno è grigio chiaro. Strutturalmente è un legno eteroxilo con porosità anulare e tende a sfaldarsi in corrispondenza degli anelli.
Fra i suoi pregi si citano la durevolezza e la resistenza all’umidità, perciò si presta per l’impiego come legno strutturale; la facilità di lavorazione lo rendono adatto ad essere impiegato per la realizzazione di vari manufatti. È inoltre un legno semiduro, adatto secondariamente anche per lavori di ebanisteria.
Per le sue caratteristiche tecnologiche, il castagno è stato tradizionalmente usato per molteplici impieghi e la realizzazione di travi, pali, infissi, doghe per botti, cesti e mobili, oltre alla già citata estrazione del tannino. Attualmente la sua destinazione principale è l’industria del mobile.
Apicoltura
L’apicoltura è un’attività accessoria che può appoggiarsi alla castanicoltura. Pur avendo impollinazione prevalentemente anemogama, i fiori maschili del castagno sono bottinati dalle api, perciò questa pianta è considerata mellifera. Il miele di castagno ha una colorazione variabile dall’ambra al bruno scuro, retrogusto amaro, resiste alla cristallizzazione per lungo tempo, è particolarmente ricco di fruttosio e polline. La sua produzione si localizza naturalmente nelle zone a maggiore vocazione per la castanicoltura e, principalmente, nella fascia submontana fra i 500 e i 1000 metri di altitudine, lungo l’arco alpino, il versante tirrenico della fascia appenninica e nelle zone montane della Sicilia settentrionale.
Erboristeria
L’uso del castagno a scopo medicamentoso è un aspetto marginale, tuttavia questa specie è considerata pianta officinale nella farmacopea popolare: per il contenuto in tannini, la corteccia ha proprietà astringenti, impiegabile in fitocosmesi per il trattamento della pelle. Alle foglie, oltre alle proprietà astringenti, sono attribuite proprietà blandamente antisettiche e sedative della tosse.
Sempre nella farmacopea popolare di alcune regioni, la polpa delle castagne, cotta e setacciata, trova impiego in fitocosmesi per la preparazione di maschere facciali detergenti ed emollienti.
Tipi di governo
Il ceduo è attualmente la forma più comune di governo dei castagneti. Dato lo scopo principale che aveva il ceduo di castagno, destinato alla produzione di assortimenti da trasformare in pali per l’elettrificazione e per usi agricoli, è indicato spesso con il termine di palina di castagno. Nei nuovi impianti si avvia tagliando le piantine dopo 2 o 3 anni mentre nei vecchi castagneti abbandonati si tagliano a raso le ceppaie. In entrambi i casi vengono emessi i polloni, sui quali si praticherà l’innesto 1 o più anni dopo.
Il ceduo semplice si governa tagliando a raso al termine del turno tutte le ceppaie. Questa pratica è consentita negli impianti artificiali, mentre nei boschi i regolamenti ammettono la matricinatura. Nel ceduo matricinato si lasciano, ad ogni taglio, un certo numero di piante, dette matricine, il cui compito è quello di consentire la rinnovazione. Poiché il castagno ha una buona capacità di rinnovazione l’intensità della matricinatura è inferiore a quella ordinaria, riducendosi a 40-60 matricine per ettaro. Il ceduo disetaneo è praticato tradizionalmente solo in alcune località della Sardegna, della Toscana e del Veneto.
Una fustaia plurisecolare
La fustaia differisce dal ceduo per avere una minore densità di piante e un solo fusto per ogni ceppaia. Si ottiene per evoluzione dai cedui, prolungandone il turno e selezionando i fusti che presentano i requisiti. Rappresenta la forma tradizionale di governo dei castagneti da frutto, soprattutto nelle regioni settentrionali, mentre in molte zone dell’Italia meridionale ci si orientava verso il ceduo da frutto.
Le densità del castagneto, a regime, dipendono dal tipo di governo e dalle condizioni di fertilità del suolo. Nei cedui si adottano intensità molto variabili, da minimi di 2-300 ceppaie a massimi di oltre 1000 ceppaie, con riferimento all’ettaro di superficie. Nelle fustaie si hanno invece densità dell’ordine di 100-200 piante ad ettaro.
La durata del turno dipende dall’indirizzo produttivo. Per i castagneti da frutto si adottano turni piuttosto lunghi, poiché la produzione di regime ha inizio a 30-50 anni dall’innesto. Per i castagneti da legno si adottano invece turni variabili secondo il tipo di assortimento mercantile richiesto. In passato si adottavano anche turni piuttosto brevi, dell’ordine di 6 anni. Questi erano finalizzati a fornire assortimenti per usi che oggi sono di marginale importanza, come ad esempio il legno per intrecci.
Gli orientamenti attuali si attestano su turni di 16-18 anni, in grado di fornire un’alta resa in assortimenti grossi e intermedi, che sono quelli richiesti dal mercato. In condizioni ottimali di fertilità, come si verifica ad esempio nei suoli di origine vulcanica e ben dotati di sostanza organica, il ceduo di castagno manifesta le migliori prestazioni produttive, con ritmi di incremento della massa legnosa paragonabili a quelli delle essenze esotiche da legno.
L’abbandono definitivo dei pali di castagno, ancora impiegati per le linee elettriche o telefoniche, indirizza la domanda di assortimenti mercantili verso il legname da sega, destinato all’industria del mobile. Questa evoluzione del mercato richiede assortimenti di diametro e lunghezza adeguati e nel tempo porta all’abbandono della castanicoltura da legno nelle stazioni meno fertili e ad un prolungamento del turno di ceduazione, con una durata ottimale di circa 25 anni.
Varietà
Per le sue prerogative, in quanto coltivato dall’antichità e secondo consuetudini locali, il castagno vanta un vasto patrimonio genetico costituito da varietà di interesse regionale, ottenute nel corso dei tempi propagando singoli cloni; spesso tipi ascrivibili alla stessa origine genetica hanno denominazioni differenti secondo la località. Le varietà più pregiate sono quelle atte alla canditura, usate per la produzione del marron glacé, e sono genericamente chiamate Marrone associandone il nome alla località di provenienza.
Contrariamente a quanto si pensa non tutte le varietà a frutto grosso rientrano nel gruppo dei marroni. Il marrone ha infatti le seguenti caratteristiche:
- frutto di grossa pezzatura, in numero di uno per riccio;
- facilità di sbucciatura del seme;
- striatura della buccia;
- sterilità dei fiori maschili;
- bassa produttività.
Altre varietà, non comprese nel gruppo dei marroni, sono di pezzatura grossa e adatte alla canditura: sono tali la Montemarano o Castagna di Avellino, alcune varietà piemontesi (Castagna della Madonna, Marrubia), il marroncinodi Melfi e un gruppo di varietà denominate genericamente Garrone.
Le varietà destinate all’essiccazione o all’estrazione di farina sono di importanza marginale e da tutelare per la conservazione del germoplasma in quanto contengono spesso particolari proprietà qualitative o fisiologiche. Fra le più famose è citata la toscana Carpinese o Montanina, varietà a frutto piccolo adatta alla produzione di farina.
I tipi adatti alla castanicoltura da legno sono stati invece selezionati da vecchie varietà da farina che presentavano particolari requisiti ai fini della selvicoltura: rapido accrescimento, regolarità dei fusti, limitata emissione di rami e grandi dimensioni. Questi requisiti sono infatti finalizzati ad ottenere, in tempi relativamente brevi, assortimenti mercantili di discrete dimensioni e di buona qualità tecnologica.
Va infine citata l’introduzione degli ibridi Castanea sativa x crenata, per la castanicoltura da frutto in Piemonte e per la castanicoltura da legno in Francia.
Avversità
Le più importanti malattie da funghi che colpiscono il castagno sono il cancro corticale del castagno e il mal dell’inchiostro. Gli insetti fitofagi più importanti sono il balanino delle castagne (Curculio elephas) e, fra i lepidotteri, la tignola del castagno (Pammene fasciana), la carpocapsa delle castagne (Cydia splendana) e il bombice dispari (Lymantria dispar). Di recente introduzione in Italia, nel 2002, l’imenottero cinipide Vespa cinese del castagno (Dryocosmus kuriphilus Yatsumatsu) fitofago specifico che mina la vitalità della pianta formando galle a livello delle gemme in fase di sviluppo.
Alberi monumentali
La presenza del castagno fin dall’antichità ha fatto sì che alcuni esemplari, ancora oggi esistenti, abbiano un particolare valore storico, culturale, paesaggistico e, come tali, sono definiti alberi monumentali.
- La Salle (Valle d’Aosta). Noto come Lo Tsahagnèr de Derby, è considerato il più famoso (anche perché l’unico castagno monumentale) della Valle d’Aosta e uno dei più vecchi alberi d’Italia. È l’unico castagno da frutto, in Italia, di dimensioni eccezionali . L’albero, a fusto grosso, singolo e stratificato, è ubicato vicino al villaggio della regione alpina, ha una circonferenza di 7,63 metri e un’altezza di 27 metri. L’età è di circa 400 anni. Riconosciuto come albero monumentale dalla Regione nel 1993, è protetto dalla legge regionale.
- Melle (Piemonte). Noto come Tabudiera grossa o Tabudiera de Titta, ha una circonferenza di 9,6 m e un’altezza di 30-32 m. L’età presunta è di circa 300 anni.
- Bioglio (Piemonte). Ha una circonferenza di 10,5 m e un’altezza di 15-18 m. L’età è di 350 anni.
- Sant’Alfio (Sicilia). Noto come Castagno dei Cento Cavalli, è considerato il più famoso d’Italia e uno dei più vecchi alberi d’Europa. L’albero è ubicato alle falde dell’Etna, ha una circonferenza di 22 metri e un’altezza di 22 metri. L’età è incerta e secondo varie fonti è stimata dai 2000 ai 4000 anni.
- Mascali (Sicilia). Noto come Castagno della Nave, ha un’età incerta ma presumibilmente millenaria. Ubicato sulle falde dell’Etna, nella stessa stazione del Castagno dei Cento Cavalli a circa 300 metri da questo, ha una circonferenza di 20 m e un’altezza di 19 m.
- Tonara (Sardegna). Ubicato a circa 800 m, è uno degli esemplari più notevoli della regione, con una circonferenza di 8,5 m e un’altezza di 15 m.
- Camaldoli (Toscana). Noto come Castagno Miraglia, ha un’età presunta di 400 anni.
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Il Cerro (Quercus cerris L.) è un albero a foglie caduche appartenente alla famiglia delle Fagaceae. È una specie che tende a sviluppare una chioma sino ad una altezza di 30-35 m.
La propagazione avviene tramite ghiande la cui maturazione fisiologica si completa in due anni. Il cerro ha foglie di colore verde scuro dal margine con profonde lobature.
Habitat
Fascia di vegetazione compresa tra i boschi collinari, dominati da roverella e carpino e le faggete montane. Sporadico in Italia settentrionale, diffuso in vaste cerrete ad alto fusto in Italia centrale e meridionale.
Fusto: Grande e scuro albero caducifoglio, a rapida crescita. Profilo alto ed espanso. La corteccia brunastra è fessurata e ruvida.
Foglie: Alterne, con margini lobati, ruvide, verde scuro e lucide sulla pagina superiore. La base è provvista di stipole.
Fiori: Fiori monoici, i maschili in amenti cilindrici penduli(lunghi 8 cm.), i femminili singoli o in gruppi da 2 a 5, racchiusi in un involucro di squame, accrescente nel frutto e formante la cupola.
Frutti: Il frutto e’ un achenio (ghianda) che matura nel secondo anno dalla fioritura di forma ovato-allungato (sino a 3 cm.),solitario o a gruppi di 2-4 con brevissimo peduncolo presenta una cupola con squame lunghe e flessuose. Fiorisce da aprile a maggio.
L’areale del cerro si estende a gran parte dell’Europa centro meridionale ed orientale, presente in quasi tutta Italia (eccetto la Sardegna), si trova di frequente soprattutto negli Appennini dove forma boschi puri (cerrete)o misti.
Specie mesofila, tendenzialmente eliofila, teme le gelate tardive e i freddi intensi, non ha particolari esigenze edafiche in quanto può vegetare su terreni di vario tipo.
Il legno, di colore roseo e’ duro, simile a quello della rovere ma di pregio minore; viene usato per le traverse ferroviarie previa impregnazione e per doghe da botte oppure come legna da ardere essendo un buon combustibile.
La corteccia è pregiata perché contiene un’elevata percentuale di tannino; questa sostanza ha la capacità di conciare le pelli, ammorbidendole e impedendone la putrefazione.
Coltivato in vivaistica forestale per rimboschimenti in ambiente mediterraneo.
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8 – Ciavardello – Sorbus torminalisL.
Frutti di Ciavardello – Sorbus torminalisL. (foto K. Metodiev)
Specie originaria delle zone temperate dell’Europa, dell’Asia occidentale e del Nord Africa, dal livello del mare alla fascia montana (800 m), e forma boschi misti di latifoglie eliofile. In Italia è comune lungo tutto l’Appennino e ai piedi delle Alpi. )
Caratteristiche generali:
Dimensione e portamento
Albero alto fino a 15 metri, con chioma densa, appiattita e globosa.
Tronco e corteccia
Il tronco è diritto, a volte policonico, con scorza grigiastra, dapprima liscia con lenticelle, poi rugosa e irregolarmente screpolata.
Foglie
Le foglie sono decidue, ovate, alterne, a lobi stretti e regolari.
Strutture riproduttive
I fiori bianchi sono ermafroditi e riuniti in corimbo ramoso ampio ed eretto; calice peloso a lacinie triangolari caduche.
Il frutto è un pomo ovoidale di 1-1,5 cm, di colore bruno ruggine a maturità, dal sapore molto astringente.
Usi
Il legno di ciavardello è duro, a grana fine e compatta; è molto apprezzato in ebanisteria e liuteria per le sue proprietà acustiche. Viene usato in erboristeria per le coliche dello stomaco ed intestinali e per la dissenteria.
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9 – Ciliegio selvatico – Prunus avium
Il ciliegio selvatico, Prunus avium, famiglia delle Rosaceae, come suggerisce il nome latino è albero caro agli uccelli per i suoi frutti, merli e tordi in primis, ma non solo a questi. La fioritura precoce sostiene e nutre le api e molti altri insetti pronubi. Dei frutti caduti a terra si cibano tassi, martore, volpi, faine e tutti i piccoli roditori del bosco. E poi insetti della frutta e coleotteri del legno.
Albero dalla forte personalità
Come molte altre piante da frutto non è originario del nostro paese, ma dell’Asia Minore da cui venne importato in epoca preistorica. Ambientatosi con successo oggi può essere considerato spontaneo tanto dell’area mediterranea come dell’Europa centrale.
Lo si trova dalla pianura, dove è per lo più sporadico, fino ad un’altitudine di 1.600 m. in boschi non troppo umidi, su pendici ben esposte, e al limite esterno della vegetazione boschiva.
Il ciliegio selvatico non essendo pianta molto longeva, supera raramente il secolo di vita, e raggiunge i 25 metri d’altezza. Il tronco, se non cimato, è diritto, regolare, slanciato, ma possente.
I rami hanno portamento ascendente, la chioma è ampia e di forma piramidale. La corteccia, lucida nei giovani soggetti, diventa grigia, poi, bruna e infine rossastra con caratteristiche scortecciature naturali in bande trasversali. Caratteristica è anche la spiccata attitudine del ciliegio a produrre resina di consistenza gommosa in corrispondenza di ferite.
Le grandi foglie semplici di forma ovoidale hanno il margine doppiamente dentato, la pagina superiore leggermente rugosa al tatto, e sono portate tendenzialmente pendule. L’apparato radicale fittonante è robusto, molto esteso e ramificato anche in profondità.
In giardino
I fiori del ciliegio selvatico precedono di poco l’emissione delle foglie che crescono mentre questi ancora persistono sui rami. Di colore bianco, peduncolati, sono raccolti in numero da due a otto ombrelle rade che accrescono l’effetto visivo a “nuvola”.
La fioritura è sicuramente il punto di forza del ciliegio selvatico perché avviene con grande anticipo quando nel giardino, la maggior parte degli alberi non ha ancora ripreso a vegetare. La sua collocazione ideale è in punto del giardino ben visibile dalle finestre di casa, quando la stagione è ancora rigida e il giardino ancora spoglio. Uno spazio, in ogni caso, dove possa continuare a crescere nel tempo senza dover subire costrizioni dimensionali.
Richiede luce, bastano poche concimazioni, resiste a temperature sotto zero, ma non oltre – 10°C.
Come riprodurlo
Possiamo sfruttare la velocità di accrescimento e la facilità di riproduzione da seme per creare la nostra pianta di ciliegio selvatico. La polpa del frutto dovrà essere eliminata perché contiene sostanze che inibiscono la germinazione. Dai frutti maturi si prelevano i semi e si mettono subito in un terreno leggero da bagnare con regolarità affinché si mantenga fresco e mai troppo secco. Nella primavera successiva avviene la germinazione. Per due anni si alleva la giovane pianta nel letto di semina, poi si fa un primo trapianto in attesa della definitiva messa a dimora al terzo o, meglio, al quarto anno.
In alternativa si può ricorrere alla separazione dei polloni radicali o si possono prelevare, con una buona zolla di terreno, le piccole piante nate dai semi in vicinanza di una pianta ben sviluppata.
Frutti poveri, ma gustosi
Il ciliegio selvatico è il progenitore di tutte le moderne varietà di ciliegie, succose e ricche di polpa. Al loro confronto i frutti selvatici possono sembrare poveri, ma sono ricchi di sapore: gustiamoli così come sono. Non facciamoci ingannare dal colore perché le ciliegie selvatiche sono mature quando il colore rosso si trasforma in un porpora molto scuro, quasi nerastro.
Fonte : www.giardini.biz – Da Wikipedia, l’enciclopedia libera
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Classificazione scientifica |
|
Regno: |
Plantae |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Fagales |
Famiglia: |
Fagaceae |
Genere: |
Quercus |
Specie: |
Q. robur |
La farnia (Quercus robur L.) è un albero a foglie decidue appartenente alla famiglia delle Fagacee. Essa è la specie tipo attraverso cui il genere Quercus è definito.
È la quercia più diffusa in Europa, e il suo areale è alquanto vasto. Questa pianta è caratterizzata da notevoli dimensioni, crescita lenta (cosa che ne determina il raro impiego come pianta ornamentale) e da rinomata longevità. Se lasciata crescere in autonomia può vivere sino a qualche secolo, mentre con interventi di potatura o di taglio alla base del fusto la vita può estendersi in maniera rilevante. Si calcola che alcuni esemplari viventi superino i 1000 anni di vita.
Alcuni esempi: Lituania, c’è un esemplare che si dice superi i 1500 anni (sarebbe la quercia vivente più vecchia d’Europa); in Danimarca l’età di un altro esemplare, è stimata attorno ai 1200 anni. Nel Parco del Delta del Po Veneto, in provincia di Rovigo, c’è la Quercia di San Basilio, una farnia di oltre 500 anni di età, una delle ultime testimoni dell’antico bosco che ricopriva la Pianura Padana.
Portamento
La farnia è un albero dal portamento maestoso ed elegante, con una chioma espansa, molto ampia e di forma globosa ed irregolare. Raggiunge un’altezza che va dai 25 ai 40 m, eccezionalmente 50. Il fusto è diritto e robusto ed alla base si allarga come per rafforzare la pianta; i rami con il passare del tempo divengono via via più massicci, nodosi e contorti.
Morfologia:
Corteccia
La corteccia, che in giovane età appare liscia ed opaca, è di colore grigio-bruno pallido e fessurata in piccole placche.
Foglie
Le foglie, lunghe dai 7 ai 14 cm, sono decidue, alterne, subsessili (con picciolo molto breve), glabre, di forma obovata con margini lobati (da 4 a 7 lobi per lato) e due vistose orecchiette alla base della foglia. La pagina superiore è di colore verde scuro, quella inferiore mostra un riflesso bluastro.
Fiori
Essendo una pianta monoica, ogni esemplare porta fiori di entrambi i sessi, molto simili a quelli delle altre querce. I fiori maschili si presentano in amenti filiformi di colore giallognolo; quelli femminili sono da 1 a 3 su un lungo peduncolo. La fioritura avviene nel periodo di aprile-maggio.
Frutti
I frutti sono acheni, più precisamente ghiande. Esse sono lunghe fino a 4 cm, di forma ovale-allungata, con cupola ruvida e ricoperta di squame romboidali che le ricopre per circa un quarto. Il colore va dal verde chiaro al marrone con il procedere della maturazione. Crescono singolarmente o a gruppi di fino 4 ghiande su lunghi gambi (da 3 a 7 cm). Maturano l’autunno seguente alla fioritura.
Habitat
Un tempo formava le vaste foreste della Pianura Padana assieme ad altri alberi quali il cerro (Quercus cerris) e il carpino bianco (Carpinus betulus). Attualmente esistono relitti di questi boschi planiziali, che ci danno una idea di quello che doveva essere l’ambiente padano prima dei massicci disboscamenti operati dall’uomo nelle varie epoche. Un esempio di tale habitat lo possiamo ritrovare a Bosco Fontana, presso Mantova. È comunque diffusa ancora con una certa frequenza nelle campagne, soprattutto come albero isolato, ad indicare antichi confini territoriali. È inoltre spesso presente in parchi cittadini e giardini di grosse dimensioni, così come in vicinanza di vecchie residenze di campagna.
Cresce comunemente nelle aree europee continentali, spesso in boschi, spingendosi sino ad un’altitudine di 800-1000 m. È in grado di adattarsi a diversi tipi di terreno, sebbene prediliga quelli profondi, freschi, argillosi, acidi e ben irrigati. Resiste bene ai geli invernali e richiede temperature elevate nel periodo estivo, nonché una discreta esposizione alla luce.
La farnia costituisce a sua volta un habitat per altri esseri viventi, in particolare animali. Numerosi insetti vivono sulle foglie, sulle gemme e nelle ghiande. Queste ultime, poi, costituiscono un’importante fonte di cibo per diversi piccoli mammiferi e alcuni uccelli tra cui la ghiandaia (Garrulus glandarius). Nei boschi padani di farnia lo strato erbaceo ospita specie botaniche tra cui: il sigillo di Salomone dei boschi (Polygonatum multiflorum), la canapetta pelosa (Galeopsis pubescens) e l’asparago selvatico (Asparagus tenuifolius).
Distribuzione
È la quercia più diffusa in Europa, e il suo areale si estende fino alla Scandinavia, alle isole britanniche, all’Anatolia e al Caucaso. In Italia è presente su tutto il territorio ad esclusione delle isole e della Puglia.
Differenze con piante simili
Si distingue dalla rovere (Quercus petraea), dalla roverella (Quercus pubescens) e dal farnetto (Quercus frainetto):
- per il picciolo delle foglie quasi assente, mentre nelle altre due specie è più lungo;
- per il gambo a cui sono attaccate le ghiande: lungo nella farnia, quasi assente nelle altre due specie.
Coltivazione e utilizzi
La coltivazione della farnia inizia con la semina delle ghiande entro due mesi dalla raccolta. A differenza delle altre querce, la ghianda emette la radichetta appena interrata, mentre la parte aerea della plantula spunta all’inizio della primavera. Le piante che ne nascono sono messe a dimora dopo due o tre anni.
La farnia è coltivata per il rimboschimento e per il pregiato legname che ne costituisce il prodotto più importante. Il legno di questa quercia, noto come “rovere di Slavonia”, è di colore bruno chiaro, resistente, durevole e pesante (peso specifico 0,75). Esso viene impiegato per costruire mobili pregiati, parquet e botti, oltre che per la produzione di carbone e l’impiego diretto come combustibile. In epoche passate la farnia era largamente utilizzata nelle costruzioni navali.
È inoltre utilizzata come pianta simbionte per la coltivazione del tartufo.
Avversità
Mentre normalmente in età adulta non subisce l’attacco di parassiti e malattie, gli esemplari giovani di farnia possono essere colpiti dall’oidio e dalla ruggine.
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Classificazione scientifica |
|
Regno: |
Planta |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Scrophulariales |
Famiglia: |
Oleaceae |
Genere: |
Fraxinus |
Fraxinus è un genere di piante della famiglia delle Oleaceae che comprende circa 65 specie di alberi o arbusti a foglie decidue, originarie delle zone temperate dell’emisfero settentrionale.
Hanno generalmente una crescita rapida, riuscendo a sopravvivere in condizioni ambientali difficili come zone inquinate, con salsedine o forti venti, resistendo bene anche alle basse o elevate temperature.
Le specie più diffuse in Italia sono:
- il Fraxinus excelsior conosciuto col nome comune di Frassino maggiore;
- il Fraxinus ornus noto come Orno o Orniello, utilizzato per la produzione della manna e chiamato comunemente anche Frassino da manna o Albero della manna;
- Fraxinus angustifolia noto col nome di Frassino meridionale.
Coltivazione
Il Frassino gradisce generalmente esposizione in pieno sole o mezz’ombra, si adatta a qualunque tipo di terreno purché profondo e fresco, sopporta bene i terreni umidi e con scarso drenaggio, prevedere per le specie coltivate come piante ornamentali un buon apporto idrico nella stagione secca e la lotta contro i frequenti parassiti; la moltiplicazione avviene con la semina e il trapianto di piantine di 2-4 anni.
Avversità
Le foglie possono subire attacchi da parte di insetti adulti e larve di coleotteri e lepidotteri.
La corteccia può subire notevoli danni per le gallerie scavate dai coleotteri del genere Lepersinus.
Le foglie e i rametti vengono facilmente attaccati dall’Oidio o Mal bianco.
Il legno può subire attacchi molto gravi dai funghi della Carie del legno che distruggendo la lignina danneggiano irreparabilmente il legname, con enormi danni economici.
Il legno di frassino
Il legno di frassino è largamente utilizzato perché è robusto e nello stesso tempo leggero e flessibile. In passato era impiegato per la realizzazione dei raggi delle ruote in legno dei carri agricoli a trazione animale, attualmente con il legno di frassino si fabbricano racchette da sci, eliche per aeroplani, vari utensili per giardinaggio, manici per martelli, strumenti musicali e molte altre cose che richiedono un legno forte e resistente.
Il legno di frassino è altresì un ottimo combustibile e i tronchi di questa pianta possono ardere bene anche quando sono ancora freschi, perché contengono una sostanza infiammabile.
In Italia, si trova il frassino eccelso che abbonda nei boschi e produce ottimo legname.
È noto anche il frassino orniello, dalla cui corteccia si ricava la manna.
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12 – Gelso bianco – Morus alba
Classificazione Cronquist |
|
Regno: |
Plantae |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Urticales |
Famiglia: |
Moraceae |
Genere: |
Morus |
Specie: |
M. alba |
Il gelso bianco (Morus alba L.) è un albero della famiglia delle Moraceae originario della Cina e introdotto in Europa verso il XV secolo principalmente per la bachicoltura.
È una specie poco longeva, ad accrescimento rapido che può raggiungere una altezza di 15-20 m.
Le foglie sono intere, semplici, cordate alla base ed acuminate all’apice con margine dentato. Talvolta le foglie possono essere lobate (tre lobi). La pagina inferiore delle foglie è glabra, la fillotassi è alterna.
Il frutto è un sorosio di colore bianco rosato a maturità ed è edule, sebbene meno gustoso di quello del gelso nero.
Usi
Assieme al gelso nero è utilizzato per la coltura dei bachi da seta.
Una legislazione particolare tendeva alla tutela degli alberi di gelso, dapprima favorendone l’impianto, poi vietandone l’abbattimento. Nell’ottocento in molte regioni italiane era diventata una coltura fondamentale.
La successiva decadenza dell’allevamento del baco da seta, non solo in Italia, ma nell’intera Europa, ha portato anche alla quasi scomparsa di un interesse agricolo, almeno in tali parti del mondo.
Interessante il suo uso come ornamentale sia per il portamento sia per il colore dorato del fogliame in autunno.
A tale scopo ne sono state selezionate delle varietà come ad esempio Morus alba v. pendula con chioma espansa e rami ricadenti.
Esemplare di gelso bianco secolare
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Il gelso nero (Morus nigra L.) o moro nero è un albero caducifoglio appartenente alla Famiglia delle Moraceae, insieme ad altri gelsi Gelso bianco, Gelso della Cina e Gelso o Arancio degli Osagi.
Morfologia
Albero alto fino a 8 m, può raggiungere anche 15-20 m. È simile al Gelso bianco, ma si differenzia per alcuni caratteri salienti:
- la foglia, pubescente nella pagina inferiore, ruvida nella pagina superiore, cuoriforme alla base,
- il frutto, costituito da piccole bacche carnose, che assumono a maturità un colore rosso-violaceo ed un sapore dolce,
- le foglie presentano il margine dentato.
- la chioma è caratterizzata da rami robusti e grossolani.
Coltivazione
Nell’Europa meridionale veniva ampiamente coltivato per la produzione dei frutti.
Oggi è maggiormente usato come albero ornamentale e i pochi che vi sono secolari.
Usi e curiosità
In Sicilia, il frutto di tale albero è utilizzato sia come frutta da tavola, che come componente di dolci e guarnizioni.
Famosa è la granita di gelsi.
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14 – Melo selvatico – Malus sylvestris
Classificazione scientifica |
|
Regno: |
Plantae |
Sottoregno: |
Tracheobionta |
Superdivisione: |
Spermatophyta |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Sottoclasse: |
Rosidae |
Ordine: |
Rosales |
Famiglia: |
Rosaceae |
Genere: |
Malus |
Specie: |
M. sylvestris |
Il melo selvatico (Malus sylvestris (L.) Mill., 1768) è una pianta appartenente alla famiglia delle Rosaceae.
Morfologia
È una pianta che cresce prevalentemente in forma di arbusto o alberello, ma che in condizioni ottimali può anche superare i 10 m di altezza.
La corteccia è grigiastra.
Le foglie sono ovali, lunghe 3-4 cm, col bordo seghettato, di colore verde pallido, ricoperte da una peluria biancastra sulla faccia inferiore.
I fiori hanno una corolla di 5 petali, bianchi con sfumature rosa.
Il frutto è simile a quello del melo domestico ma più piccolo (3 – 4 cm di diametro), duro e asprigno. Giunge a maturazione tra luglio e ottobre.
Distribuzione e habitat
Originario dell’Europa e del Caucaso.
Usi
È utilizzato come portainnesto per la coltivazione di varietà di Malus domestica.
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Classificazione Cronquist |
|
Regno: |
Plantae |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Juglandales |
Famiglia: |
Juglandaceae |
Genere: |
Juglans |
Specie: |
J. regia |
Il noce da frutto o noce bianco (Juglans regia) è il rappresentante più conosciuto e più importante dal punto di vista economico del genere Juglans.
Descrizione
Il noce è un albero vigoroso e caratterizzato da un tronco solido, alto, dritto e con un portamento maestoso e presenta radici robuste e fittonanti. Può raggiungere i 30 metri di altezza.
Le foglie sono caduche, composte ed alterne. È una pianta monoica in cui i fiori maschili sono riuniti in amenti penduli, lunghi 10-15 cm, con numerosi stami, che appaiono sui rami dell’anno precedente prima della comparsa delle foglie. I fiori unisessuali femminili si schiudono da gemme miste dopo quelli maschili (proterandria), sono solitari o riuniti in gruppi di 2-3, raramente 4, appaiono sui nuovi germogli dell’anno, contemporaneamente alle foglie.
Il frutto è una drupa, composta dall’esocarpo (mallo) carnoso, fibroso, annerisce a maturità e libera l’endocarpo legnoso, cioè la noce vera e propria, costituita da due valve che racchiudono il gheriglio con elevato contenuto in lipidi.
Distribuzione e habitat
Il noce è stato introdotto in Europa tra il VII e il V secolo a.C. e in America nel XVII secolo da coloni inglesi. Il noce è una pianta cosmopolita ed è presente in quasi tutti gli ambienti temperati. Le nazioni che vantano una buona presenza di Juglans regia sono la Francia, la Grecia, la Bulgaria, la Serbia e la Romania in Europa; la Cina in Asia; la California (maggior produttore mondiale di noci) in America settentrionale e il Cile in America latina. Ultimamente si è diffuso anche in Nuova Zelanda e nella parte sud-orientale dell’Australia.
Coltivazione
Il noce comune (Juglans regia) tollera bene suoli debolmente acidi e calcarei, mentre il noce nero (Juglans nigra) necessita di terreni freschi e leggermente acidi. Il noce è un albero di facile coltivazione, ma il terreno su cui è allevato deve essere ricco di sostanza organica. Bisogna prestare particolare attenzione all’apporto idrico nel mese di giugno, perché, in caso di mancanza d’acqua, i frutti risulteranno piccoli. L’acqua in tarda primavera è fondamentale anche perché è il momento dell’induzione fiorale (i futuri fiori dell’anno successivo). Siccità o gelate tardive in questo momento comprometterebbero il raccolto dell’anno successivo. Gli alberi coltivati sono innestati e cominciano a produrre al quinto-sesto anno. Sono in piena produzione al 25º anno fino 70 anni. Il noce nero è talvolta usato come portinnesto perché resiste alla muffa soprattutto nelle zone umide. Il noce produce lo juglone e, per allopatia, non permette la crescita di altre specie nei pressi della pianta.
Avversità
Tra le malattie da funghi rivestono importanza il mal nero (causato da Phytophthora cactorum) e l’antracnosi (causata da Gnomonia juglandis). I parassiti animali più importanti appartengono alla classe degli insetti e sono due lepidotteri, Cydia pomonella e Cydia splendana, e un coleottero, il maggiolino (Melolontha melolontha).
Usi
Il noce è largamente coltivato per i suoi molteplici usi:
Legno
Produce un legno duro, piacevolmente venato e dal colore caratteristico per la produzione di mobili, commercialmente noto in Italia come Noce nazionale.
Frutti
Le noci sono prevalentemente consumate come frutta secca.
ProduzioneMondiale 7.000.000 q
- U.S.A. 50%
- Cina 20%
- Francia 3%
- India 4%
- Spagna 3%
- Italia 3%
- Turchia 3%
- altri paesi 14%
Possono tuttavia essere tritate per ottenere un olio alimentare, l’olio di noci. Vengono usate anche per la produzione di vino di noci. Per questo uso, per ora ancora di nicchia, si richiede la raccolta dei frutti molto giovani (verso la fine di giugno).
Le noci non ancora mature sono molto usate anche per la produzione di nocino, liquore diffuso in Europa.
Foglie e germogli
Vengono usati per la produzione del vino di noci, facendoli macerare nell’alcool come base del vino.
Storia : Reperti archeologici indicano che i frutti del noce venivano utilizzati come alimento già 9000 anni fa. Le prime testimonianze scritte risalgono a Plinio il Vecchioe Columella. Relazioni di Plinio nel suo Naturalis historia testimoniano l’importazione del noce in Europa da parte dei greci tra il VII e il V secolo a.C. dall’Asia minore.
Infatti, ci sono riscontri sulla presenza del noce già dall’era Terziaria in Europa. A seguito delle glaciazioni, alcuni esemplari sono riusciti ad arrivare nel bacino del Mediterraneo. Dunque, l’areale di distribuzione del noce nell’età quaternaria si estendeva dalla penisola balcanica fino all’Asia centrale. Sono ancora oggi presenti dei caratteristici boschi puri di noce in Kirghizistan, sulla catena montuosa Tien Shan.
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16 – Olmo campestre – Ulmus minor
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L’Olmo campestre (Ulmus minor Mill., 1768) è un albero deciduo appartenente alla famiglia delle Ulmaceae.
Si può trovare nell’Europa Mediterranea ma anche in Asia Mediterranea.
Da alcuni decenni una malattia di origine fungina diffusasi dall’Asia, la grafiosi, sta decimando gli esemplari più vecchi.
La ricerca scientifica ha tuttavia permesso di sviluppare una varietà di esemplari che mostrano una resistenza a questa malattia.
Morfologia
Portamento
È un albero di media grandezza, potendo raggiungere altezze comprese tra i 2 ed 10 metri. Ha habitus deciduo. I fusti giovani presentano una corteccia liscia e di colore grigio scuro. Con l’età la corteggia tende a desquamare formando dei solchi più o meno profondi in direzione verticale o orizzontale, formando delle placchette quadrangolari.
Le foglie sono alternate, di forma ellittica e delle dimensioni di circa 3 centimetri in larghezza e 5 centimetri in lunghezza. Hanno margine dentellato e sono dotate di un breve picciolo. Hanno colore verde, che vira al giallo durante l’autunno, prima della caduta. La pagina inferiore è di colore grigio verde.
I fiori sono piccoli, unisessuali e dotati di tepali verdastri. Gli stami sono 5 ed i carpelli 2, formanti un ovario supero. Il frutto è una samara. La fioritura avviene prima dell’emissione delle foglie, nel periodo a cavallo di inverno e primavera compreso tra i mesi di febbraio e marzo.
Radici :Le radici sono molto estese e ramificate e si sviluppano in profondità.
Distribuzione e habitat
La specie è diffusa in Europa continentale, Asia Mediterranea e America settentrionale.
Il suo habitat naturale è rappresentato da boschi e terreni incolti. Lo si ritrova anche lungo il greto di torrenti e ruscelli. Mostra una buona tolleranza al freddo ed alla siccità. Vegeta ad altitudini comprese tra 0 e 1.200 metri.
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17 – Ontano nero – Alnus glutinosa
Classificazione Cronquist |
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Regno: |
Plantae |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Fagales |
Famiglia: |
Betulaceae |
Genere: |
Alnus |
Specie: |
A. glutinosa |
L’ontano nero o ontano comune (Alnus glutinosa (L.) Gaertn., 1790), è una pianta arborea del genere Alnus (famiglia Betulaceae).
È presente in tutta l’Europa, nel Nordafrica, nell’Asia minore, in Siberia e nell’Asia orientale. Caratteri botanici
L’ontano nero è un albero alto intorno ai 10 metri, eccezionalmente fino a 20-25 metri, talvolta con portamento arbustivo, con corteccia fessurata longitudinalmente, di colore nero. Il legno e le radici hanno una caratteristica colorazione variabile dal giallo-aranciato al rosso-aranciato.
Le foglie sono caduche, sparse e picciolate. Hanno lamina coriacea, glabra, subrotonda od obovata, incuneata alla base e tronca o leggermente insinuata all’apice. Il margine è dentellato. La pagina inferiore è appiccicosa, specie nelle foglie giovani (da cui l’epiteto specifico “glutinosa”), e mostra ciuffi sparsi di peli all’ascella delle nervature.
Come tutte le specie della stessa famiglia, l’ontano nero è una pianta monoica, con fiori a sessi separati portati sulla stessa pianta. Sia i fiori femminili sia quelli maschili sono molto piccoli e riuniti in infiorescenze ad amento. Gli amenti femminili sono riuniti in piccoli gruppi di 3-6, lungamente peduncolati ed eretti. Hanno una forma ellissoidale e sono di colore verde. Nella forma ricordano gli strobili delle Conifere e sono lunghi 1-1,5 cm.
Gli amenti maschili sono riuniti in gruppi di 3-5, sono penduli e cilindrici, lunghi fino a 6 cm, di colore giallo-verdastro. La fioritura ha luogo alla fine dell’inverno, in febbraio-marzo, ma esiste una marcata variabilità, protraendosi dal pieno inverno nelle regioni calde alla tarda primavera in quelle più fredde.
Gli amenti femminili evolvono in infruttescenze nere di consistenza legnosa, pendule, con brattee fruttifere patenti e persistenti anche dopo la disseminazione del frutto. I resti delle infruttescenze possono persistere anche per più anni. Il frutto è un piccolo achenio alato.
Ecobotanica
In Italia l’ontano nero vegeta dal livello del mare fino agli 800 metri di altitudine, spingendosi raramente oltre i 1200 metri. Presente in tutte le regioni, è una specie igrofita che richiede la presenza costante di umidità, perciò la si rinviene in terreni acquitrinosi, in paludi e, soprattutto, lungo i corsi d’acqua.
È un elemento tipico della vegetazione riparia, associato ad altre piante tipiche di questo ambiente, come i salici, i pioppi, ecc. Nell’Italia meridionale e nelle isole è frequentemente associato all’oleandro e ai salici ed è spesso l’elemento arboreo di maggior sviluppo lungo i corsi d’acqua.
Un aspetto particolare è la relazione simbiontica delle radici degli ontani con microrganismi azotofissatori del genere Frankia, caso rarissimo fuori dall’ambito della famiglia delle Leguminose, perciò gli ontani sono specie che migliorano il suolo arricchendolo d’azoto e sostanza organica.
Utilità
Oltre a svolgere una funzione ecologica nel mantenimento degli ecosistemi fluviali, le formazioni pure o miste a ontano nero sono utili per il consolidamento delle sponde dei corsi d’acqua e ricoprono perciò un ruolo collaterale di tutela dell’ambiente contro i dissesti idrogeologici.
Sotto l’aspetto tecnologico può fornire legname da impiegare in piccoli lavori di falegnameria, di ebanisteria e per la realizzazione di pavimenti in legno. Il legno dell’ontano nero appena tagliato si presenta giallo-aranciato, ma con la stagionatura assume un colore rosso-arancio.
In merito alle proprietà meccaniche si presenta come un legno semiduro e omogeneo, di notevole durevolezza in sommersione. Per questo motivo, soprattutto in passato, era largamente impiegato come legname da opera per manufatti sommersi. Il legno di ontano è stato, infatti, notoriamente usato nel corso della storia dell’uomo per allestire la palificazione di sostegno delle palafitte o per realizzare manufatti idraulici; è stato inoltre impiegato per costruire le fondazioni delle costruzioni a Venezia.
Nomi regionali |
|
Abruzzo |
fundane |
Basilicata |
olano |
Calabria |
cechiano, azzanaro |
Campania |
anzano, alvano |
Emilia-Romagna |
andan, nizzol, gusdan |
Friuli-Venezia Giulia |
ornar |
Lazio |
auzzano |
Liguria |
verna, öna, önetta, sverna |
Lombardia |
unisc, oness, oniccia |
Marche |
olmeta, ancetano |
Piemonte |
auna, verno niero |
Sardegna |
àlinu, àbiu, mura burda |
Sicilia |
avornu, luno, sberna |
Toscana |
alno, gattona |
Trentino-Alto Adige |
onaro |
Valle d’Aosta |
verna |
Veneto |
oner, onaro, auno |
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Classificazione Cronquist |
|
Regno: |
Plantae |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Rosales |
Famiglia: |
Rosaceae |
Genere: |
Prunus |
Specie: |
P. padus |
Il Prunus padus è una pianta della famiglia delle rosaceae chiamato Pado o Ciliegio a grappoli.
Molto utilizzato per motivi ornamentali anche nell’arredo urbano per via della sua meravigliosa fioritura.
Morfologia
Foglie: decidue di 5-10 cm, di colore verde chiaro, con margini seghettati. Si dispongono alternamente sul ramo.
Fiori : I piccoli fiori ermafroditi sbocciano nel periodo tra aprile e maggio, in folti grappoli di colore bianco che pendono dai rametti con un forte profumo di mandorla.
I frutti sono delle bacche rotonde di colore nero e lucidi, hanno una forte presenza di tannino che gli conferisce un sapore astringente ed amaro per cui sono mangiati solamente dagli uccelli.
Corteccia
Lacortecciapiuttosto liscia si separa in piccole lenticelle sparse ed è di colore grigio scuro. Ha la particolarità di emanare un cattivo odore e questa caratteristica viene sottolineata nel nome volgarefranceseBois-puant(“legno puzzolente”).
Portamento
Il pado è una pianta non molto alta che arriva massimo fino ai 15 m nella sottospecie del padus padus, altrimenti non supera i 10 m. Il fusto è molto sottile e le radici profonde emettono numerosi polloni.
Corologia ed ecologia
La sua presenza si distribuisce in tutta l’Europa eccetto quella mediterranea e nell’Asia centro-settentrionale. In Italia è diffuso soprattutto nelle regioni settentrionali in particolare sulle Alpi dove può raggiungere il limite della vegetazione forestale ma anche nella pianura padana.
Si tratta infatti di una pianta capace di sopportare il freddo. Preferisce terreni freschi silicei posti in penombra ed è molto resistente all’acidità del suolo e riesce a vivere anche nei terreni torbosi.
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19 – Pioppo bianco – Populus alba
Classificazione Cronquist |
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Regno: |
Plantae |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Salicales |
Famiglia: |
Salicaceae |
Genere: |
Populus |
Specie: |
P. alba |
Il pioppo bianco (Populus alba L., 1753), detto anche gattice o albera, è un albero a foglie caduche della famiglia delle Salicaceae
Morfologia
Portamento
È alto fino a 30 metri (40), con un’ampia chioma arrotondata. Tra le numerose specie e varietà di pioppo questa è la più sana e longeva, anche se raggiunge raramente il centinaio d’anni d’età; esistono, tuttavia, prove documentate di alcuni individui in Parchi storici vissuti eccezionalmente oltre 180 anni. La sua corteccia grigio chiaro, simile a quella della betulla, rimane per lungo tempo liscia e punteggiata da piccole lenticelle suberose a forma di rombo; invecchiando diviene più scura e solcata longitudinalmente dalla base dell’albero e progressivamente diventa ruvida e molto scura.
Foglie
Le foglie, sorrette da un picciolo depresso lateralmente lungo fino a 5 centimetri, hanno una forma ovale o rotondeggiante, ma talvolta irregolarmente lobata (4-8 centimetri). La pagina fogliare superiore è lucida, di colore verde scuro, mentre quella inferiore, come gli interi getti giovani, è ricoperta da una fitta peluria biancastra (tomento), da cui il nome comune della pianta.
Fiori
Come tutte le altre Salicaceae, il pioppo bianco è una pianta dioica con i fiori unisessuali riuniti in amenti, che compaiono prima delle foglie. Questo tipo di infiorescenza ad amento pendulo è comune nelle specie arboree a impollinazione anemofila. Gli amenti maschili sono cilindrici, quelli femminili corti con fiori ascellanti su una brattea pelosa.
Anche la dispersione dei semi, contenuti in capsule, è affidata al vento grazie alla presenza su questi di filamenti pelosi il cui insieme è detto pappo. Il pappo pur costituito di finissima cellulosa provoca sempre fastidio a occhi e naso con spesso reazioni allergiche. In giardinistica diventa, quindi, indispensabile raccomandare l’uso di piante di sesso maschile pretendendole ai vivaisti che le possono ottenere per talea.
Distribuzione e habitat
È una specie centro europea meridionale, nativa della Spagna e del Marocco, il cui areale arriva fino all’Africa settentrionale e all’Asia centrale.
Il suo habitat naturale è rappresentato da suoli incoerenti, sciolti limosi-argillosi, che rimangono umidi tutto l’anno ma senza subire regolari inondazioni, dove si associa a specie arboree, quali l’ontano, il frassino, l’olmo e il Salix alba. In Italia si trova dalla pianura fino a circa 1.500 m s.l.m. È abbastanza resistente alla salsedine. È più termofilo di altre specie del genere.
Coltivazione
I pioppi sono essenziali nell’azione di consolidamento degli argini dei fiumi, in relazione anche all’ampia estensione dell’apparato radicale che si dirama dalla pianta madre per oltre venti metri. Spesso viene piantato artificialmente in filari per l’utilizzo del legname, modificando drasticamente il paesaggio.
Usi
Il legno è leggero e viene impiegato nella produzione di cellulosa, compensati, mobili di poco pregio.
Alcune cultivar, come ad esempio Populus alba cv. Pyramidalis del Turkestan, sono utilizzate a scopi ornamentali nei parchi.
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20 – Pioppo nero – Populus nigra Pioppo-Salicaceae
Generalità:
pianta arborea decidua dalle dimensioni imponenti originaria dell’Europa e dell’Asia occidentale, presente allo stato selvatico anche nel continente americano. Ha chioma rotonda, a cupola, abbastanza ampia, ma rada, che raggiunge rapidamente i 30-35 metri di altezza, non è infrequente vedere esemplari di pioppo a portamento colonnare; le foglie sono alterne, verde scuro sulla pagina superiore e verde-giallastro sulla pagina inferiore, di forma triangolare o a diamante, con il margine dentato. La corteccia è grigia negli esemplari giovani, tende a scurirsi con l’età della pianta, solcata da profonde fessure. Gli amenti maschili e femminili crescono su alberi diversi, quelli femminili sono ciuffetti bianchi e cotonosi di semi, quelli maschili sono grigi, marroni o rossastri. Tende a sviluppare lunghe radici superficiali. In America troviamo anche P. deltoides, e in Italia e in Europa è molto diffuso anche P. alba, con foglie ovali grigio-verdi. P. tremula, diffuso in Europa, in Africa e in Asia ha foglie tondeggianti che ondeggiano anche con venti molto lievi.
Esposizione: il pioppo preferisce le posizioni molto luminose, soleggiate, ma si adatta bene anche a mezz’ombra, non gradisce l’ombra completa. Non teme il freddo e neanche il vento, è molto resistente all’inquinamento ed è per questo molto utilizzato per alberature stradali.
Terreno e annaffiature: gli alberi di pioppo preferiscono terreni ricchi in materia organica, leggeri e ben drenati, difficilmente si adattano a terreni inconsistenti e sterili; in natura prediligono le zone umide, vicino a fiumi e torrenti, poiché non tollerano le siccità di lunga durata. È quindi opportuno interrare periodicamente del buon concime organico ai piedi della pianta, almeno due volte l’anno, si consiglia inoltre di annaffiare i pioppi qualora si verificassero periodi prolungati di siccità.
Moltiplicazione: avviene per talea, in primavera, le talee si fanno radicare in un miscuglio di torba e sabbia in parti uguali, le nuove piantine vanno coltivate in serra per almeno due anni prima di essere poste a dimora, poiché gli esemplari giovani possono talvolta temere il freddo e il vento. La propagazione può avvenire anche per seme, si consiglia di utilizzare numerosi semi poiché la terminabilità del pioppo non è molto alta. In autunno si possono prelevare i polloni basali, che solitamente le piante adulte sviluppano in numero cospicuo.
Parassiti e malattie: spesso viene attaccato dall’afide lanigero del pioppo, che rovina completamente i germogli. Le giovani piante possono subire attacchi letali da parte della crisomela del pioppo, che ne divora le foglie. Inoltre i pioppi possono essere attaccati da oziorrinco e da rodilegno, in generale però i parassiti preoccupano gli esemplari giovani.
Da: http://www.giardinaggio.it/ – Da Wikipedia, l’enciclopedia libera
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Classificazione Cronquist |
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Regno: |
Plantae |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Salicales |
Famiglia: |
Salicaceae |
Genere: |
Populus |
Specie: |
P. tremula |
Il pioppo tremulo (Populus tremula, L.) è un albero della famiglia delle Salicaceae.
Descrizione
La sua altezza si aggira sui 20-25 m, ha fusto diritto e slanciato ed una chioma di forma globulare. Le sue foglie turionali sono ovali e appuntite, con picciolo a forma cilindrica, mentre le brachiblastali hanno forma tondeggiante con picciolo leggermente schiacciato ai lati che le rende particolarmente mobili al minimo soffio di vento.
Distribuzione e habitat
Cresce in tutta Europa, ma lo si può trovare anche in alcune zone dell’Africa del nord. In Italia è presente sulle Alpi fino ad un’altezza di 1600 m e sugli Appennini fino a 1800 m; in alcune zone inoltre lo si può trovare anche a poche centinaia di metri dal mare.
Varietà
In Italia se ne conoscono attualmente tre varietà: dodeana, con foglie molto dentellate; australis, con foglie arrotondate e piccole e villosa con foglie che da giovani si presentano pelose.
Coltivazione
Questa specie di pioppo si contraddistingue per via dell’impossibilità di moltiplicazione per talea.
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Classificazione Cronquist |
|
Regno: |
Plantae |
Sottoregno: |
Tracheobionta |
Superdivisione: |
Spermatophyta |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Malpighiales |
Famiglia: |
Salicaceae |
Genere: |
Salix |
Specie: |
S. alba |
Il salice bianco (Salix alba, Linneo 1753), detto anche salice da pertiche è una pianta della famiglia delle Salicaceae.
Descrizione
Albero alto fino a 25 m, dalla chioma aperta e i rami sottili, flessibili e tenaci, corteccia giallastra o grigio-rossastra. Le foglie lanceolate-acuminate, con stipole caduche e piccole, picciolate e finemente seghettate sono pelose su ambo le facce da giovani. Le foglie adulte hanno pagina superiore poco pelosa o glabra, di sotto hanno densa peluria che conferisce una colorazione argentea. Le infiorescenze sono costituite da amenti, distinti in femminili e maschili. Gli amenti maschili sono lunghi fino a 7 cm, presentano due stami e antere gialle; gli amenti femminili sono peduncolati e più esili di quelli maschili. I frutti sono costituiti da capsule glabre e subsessili che, a piena maturazione, si aprono in due parti liberando dei semi cotonosi (ovverosia semi dotati di un “pappo” bianco cotonoso). Il genere Salix comprende circa 300 specie caratterizzate da rapido accrescimento e scarsa longevità, caratteristiche che troviamo pienamente nel salice bianco.
Distribuzione e habitat
Comune nei luoghi umidi e lungo i corsi d’acqua fino a 1000 metri di altitudine in tutta Europa.
Usi
Il salice bianco viene utilizzato per consolidare i terreni di ripa e le pendici franose, ed il suo legno, leggero e non molto pregiato, viene utilizzato nell’industria cartaria.
Utilizzato come combustibile brucia in fretta, producendo un buon calore per un tempo limitato. Il salice bianco era utilizzato come sostegno per le viti avendo una crescita veloce, le piante in circa 3/4 anni erano in grado di dare i primi pali, i rami piccoli non venivano usati per legare le viti in quanto ha un legno rigido e fragile.
Mentre per legare le viti veniva e viene ancora usato il salice viminalis dove i giovani rami (vinchi o vimini) vengono impiegati in agricoltura per legare le viti.
La pianta è inoltre ricca di virtù medicinali.
L’acido salicilico composto alla base della nota aspirina fu ricavato proprio dal salice bianco, e la corteccia contiene tannino, utilizzato come disinfettante e cicatrizzante.
Metodi di coltivazione
Sono piante rustiche di facile ambientazione, e a rapida crescita, gradiscono terreno fertile ed umido. La moltiplicazione avviene con la semina, per talea e con la margotta.
Curiosità
Alcuni considerano il salice l’albero dell’energia femminile, che dona protezione e dolci cure, anche se i suoi rami “piangenti” sono solitamente associati alle lacrime, al dolore e alla malinconia. In casa il legno di salice favorirebbe la capacità di immedesimazione, aiuterebbe la salute e donerebbe protezione a tutta la famiglia.
Il Viminale, uno dei sette colli di Roma, probabilmente deve l’origine del suo nome proprio ai salici: sembra infatti che una fitta selva di questi alberi ricoprisse in tempi lontani le sue pendici.
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23 . Salice fragile – Salix fragilis
Classificazione Cronquist |
|
Regno: |
Plantae |
Sottoregno: |
Tracheobionta |
Superdivisione: |
Spermatophyta |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Sottoclasse: |
Dilleniidae |
Ordine: |
Salicales |
Famiglia: |
Salicaceae |
Genere: |
Salix |
Specie: |
S. fragilis |
Il salice fragile (Salix fragilis L., 1753) è un piccolo albero dioico e deciduo appartenente alla famiglia delle Salicaceae.
Morfologia
Portamento
La pianta può raggiungere altezze comprese tra i 2 ed i 15 metri. Il fusto è ricoperto da una corteccia screpolata e di colore grigio-nero. I rami giovani sono piuttosto fragili e di colore variabile dal giallo chiaro al rosso chiaro
Foglie
Le foglie sono lunghe 12-16 centimetri, lanceolate e con margine seghettato. La faccia inferiore è di colore grigio-verde mentre quella superiore è lucida e di colore verde chiaro.
Fiori
I fiori sono raggruppati in amenti unisessuali. Essendo una specie dioica i fiori maschili e femminili si sviluppano su individui separati
Frutti
Il frutto è una capsula dotata di peduncolo entro la quale si trova il seme. La fioritura avviene tipicamente tra febbraio ed aprile, prima della comparsa delle nuove foglie.
Distribuzione e habitat
Vegeta in Europa, Asia occidentale fino alla Siberia ed America settentrionale. Il suo habitat naturale è rappresentato dalle aree di bosco umido e dal greto di fiumi,torrenti e ruscelli.
Vegeta a quote comprese tra 0 e 1.000 metri.
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24. Sorbo comune – Sorbus domestica
Classificazione Cronquist |
|
Regno: |
Plantae |
Superdivisione: |
Spermathophyta |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Sottoclasse: |
Rosidae |
Ordine: |
Rosales |
Famiglia: |
Rosaceae |
Genere: |
Sorbus |
Specie: |
S. domestica |
Il Sorbo domestico (Sorbus domestica L.) è un albero della famiglia delle Rosacee.
Di questa specie esistono due varietà: una con frutti piriformi (simili a piccole pere), e l’altra con frutti rotondi (simili a piccole mele). I frutti di questa specie venivano in passato usati a scopo alimentare, ma oggi non vengono quasi più consumati.
I frutti del sorbo domestico sono chiamati sorbe o sorbole e hanno la particolarità di completare la maturazione dopo la raccolta, pertanto vanno conservati e lasciati maturare ulteriormente finché “ammezziscono”, cioè diventano morbidi e saporiti.
Nomi regionali
Abruzzo |
Ciorva |
Calabria |
sùarvu survàra |
Campania |
Sóvr |
Piemonte |
Pocio |
Puglia |
sòrue |
Sardegna |
supelva |
Sicilia |
zorbo |
Trentino-Alto Adige |
tèmen / sorbol, sorbole |
Umbria |
solva |
Veneto |
sorbolér |
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25. Tiglio nostrano – Tilia platyphyllos
Classificazione Cronquist |
|
Regno: |
Plantae |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Malvales |
Famiglia: |
Tiliaceae |
Genere: |
Tilia |
Specie: |
T. platyphyllos |
Il Tiglio nostrano (Tilia platyphyllos Scop.), noto anche col nome di Tiglio nostrale è un albero della famiglia delle Tiliaceae, diffuso nell’Europa continentale e nel Caucaso.
Descrizione
Albero alto fino a 40 m, a foglie caduche, cuoriformi, a margine seghettato, con la pagina inferiore pubescente, con ciuffetti di peli biancastri negli angoli delle nervatura, che a maggio-giugno portano all’ascella i fiori profumati, forniti di brattea, di colore bianco-giallastro e riuniti in infiorescenze pendenti formate da 2-5 fiori ermafroditi, i frutti sono piccole capsule con costole sporgenti, ed endocarpo duro e legnoso.
Ibridazione
In Italia esistono, allo stato spontaneo, solo due specie di tigli, ossia Tilia platyphyllos e Tilia cordata.
Le due specie si ibridano fra loro dando origine a Tilia x vulgaris, entità sovente usata nei parchi urbani e nelle alberature.
Distinzione da specie simili
La distinzione fra le due specie non è difficile, se si osservano le piante con attenzione, e può basarsi su questi elementi:
- la dimensione delle foglie, di massimo 8 cm in T. cordata e fino a 15 cm in T. platyphyllos (tuttavia nei ricacci emessi a seguito di potature o ceduazioni, le foglie di entrambe le specie possono essere molto più grandi);
- la pagina inferiore delle foglie: entrambe le specie presentano ciuffi di peli all’ascella delle nervature, ma questi ciuffi sono color mattone in T. cordata e biancastri in T. platyphyllos;
- il frutto: quello di T. cordata è piccolo, massimo 8 mm di diametro, senza costolature evidenti e, schiacciato fra le dita, si rompe facilmente; quello di T. platyphyllos è più grosso, con 5 costole pronunciate e molto più resistente;
- le gemme: nel T. cordata sono visibili 2 scaglie (perule), in T. platyphyllos se ne vedono 3;
- i giovani rametti del T. cordata sono glabri, ossia lisci, mentre quelli del T. platyphyllos sono coperti da una sottile peluria, sono cioè pubescenti.
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26 . Tiglio selvatico – Tilia cordata
Classificazione Cronquist |
|
Regno: |
Plantae |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Malvales |
Famiglia: |
Tiliaceae |
Genere: |
Tilia |
Specie: |
T cordata |
Il tiglio selvatico (Tilia cordata Mill.) è un albero della famiglia delle Tiliaceae.
Descrizione
Albero di seconda grandezza con altezza fino a 25 m, con rami dalla corteccia grigia o marrone, foglie decidue, alterne, di colore verde brillante, glauche sulla pagina inferiore, con ciuffetti di peli rossicci negli angoli delle nervatura, ovate-cordate, asimmetriche, fiori bratteati, profumati, primaverili, riuniti in infiorescenze ascellari, frutti con costole poco visibili ed endocarpo fragile.
Le gemme sono alterne, globose, inizialmente di color verde poi rossastre, con solo due scaglie visibili.
Ibridazione e distinzione da specie simili (v. Tilia platyphyllos )
Ecologia
Specie piuttosto sciafila, ossia ben tollerante l’ombra, predilige terreni freschi e fertili, a pH neutro o non troppo acido. Tollera terreni marnosi. È una specie mesofila leggermente acidofila. Rispetto a Tilia platyphyllos è meno termofilo.
Distribuzione
È una tipica specie con areale europeo. È diffusa dalla Spagna (Paesi Baschi, Catalogna, Pirenei) agli Urali quasi senza soluzione di continuità. A nord si spinge fino alla Finlandia meridionale, alla Svezia centro – meridionale, alle coste norvegesi e al sud della Scozia. È presente nei balcani fino alla Grecia settentrionale e in Corsica. Areali disgiunti in Crimea e Caucaso.
In Italia è presente sull’arco Alpino e sull’Appennino fino alla Basilicata. In Val Padana si limita all’alta pianura, mentre è assente nella bassa pianura. In montagna si spinge fino a circa 1.500 metri. Molto raro nella zona mediterranea.
Malattie e parassiti
Fra le malattie del tiglio, le carie del legno hanno una grande importanza. Si tratta di malattie funginee che portano alla degradazione dei tessuti legnosi interni della pianta causando, a lungo andare, la rottura del trono o dei rami. Tuttavia, rispetto ad altri alberi, i tigli hanno una buona resistenza alla rottura dei tessuti e anche per questo motivo sono apprezzati come piante ornamentali. Fra le specie di funghi cariogeni a carico del tiglio citiamo Fomes spp., Polyporus fomentarius, Polyporus sulphureus, Polyporus versicolor, Coriolus spp., Hypoxylon deusteum e altri.
Anche i marciumi radicali colpiscono il tiglio, in particolare Armillaria mellea e Rosellina necatrix. Questi funghi, che portano alla marcescenza dell’apparato radicale e alla caduta della pianta, sono favoriti da condizioni di asfissia del terreno e da ferite provocate alle radici, ad esempio in occasione di scavi sotto la chioma degli alberi.
I rami sono spesso colpiti da cancri, ossia da necrosi dei tessuti, provocate da Nectria spp. e Botryspaeria spp., o da verticillosi causate da Verticillium albo-atrum.
Fra le malattie delle foglie, segnaliamo:
- l’antracnosi, che causa delle macchie scure sulle foglie, che si estendono provocandone necrosi e caduta anticipata delle foglie colpite. È provocato da Gnomonia tiliae.
- la cercosporiosi, provocata da Mycosphaerella microspora, che causa anch’essa necrosi, più piccole del patogeno precedente, ma che possono anch’esse estendersi provocando il disseccamento del lembo fogliare;
- il mal bianco, detto anche oidio, in cui le foglie sono coperte da un micelio biancastro che provoca l’accartocciamento delle foglie e la caduta precoce.
Fra i parassiti animali, segnaliamo:
- insetti xilofagi, in primo luogo il rodilegno rosso Cossus cossus e il rodilegno giallo Zeuzera pyrina. Entrambi questi lepidotteri scavano gallerie larvali nel legno (nel tronco il primo, nei rametti il secondo), provocando gravi danni.
- insetti fillofagi: l’ifantria americana Hyphantria cunea, la limantria Limantria dispar, l’euprottide Euproctis chrysorrea e la sfinge Mimas tiliae sono le principali farfalle defogliatrici del tiglio. Importante è anche il sigaraio, ossia il coleottero Byctiscus betulae, che provoca caratteristici accartocciamenti della lamina fogliare.
- insetti fitomizi: gli afidi sono forse gli insetti parassiti più noti a carico del tiglio, essendo la principale causa della melata che, cadendo al suolo, imbratta automobili e altri oggetti posti all’ombra dei tigli nelle città. Fra le specie di afidi principali, segnaliamo Eucallipterus tiliae e Patchiella reamuri. Importanti fitomizi anche Metcalfa pruinosa e Chloropulvinaria floccifera;
- gli acari, in particolare il noto “ragnetto giallo” Eotetranychus tiliarius, l’erinosi Phytoptus leiosoma e l’eriofide Eriophyes tiliae. Il primo causa macchie vaste color bronzo e la successiva caduta delle foglie, il secondo provoca delle piccole galle a forma di corno e il terzo produce sulla pagina inferiore della foglia delle piccole sporgenze spugnose bianche o beige che col tempo deformano la foglia.
Usi
Si tratta di un albero utilizzato negli spazi verdi urbani, soprattutto nei parchi. È molto noto anche come pianta mellifera. Il suo legno è omogeneo e facilmente lavorabile, ma non ha grande resistenza meccanica. È utilizzato per costruire piccoli oggetti, soprattutto da cucina. Usato anche come imitazione dell’ebano. Come legna da ardere non è particolarmente apprezzato.
Selvicoltura
Specie utilizzata soprattutto nei cedui, veniva un tempo trattata con turno di 15-20 anni. Attualmente si preferiscono turni di 25-30 anni. Ha ottima capacità di ricaccio dalla ceppaia. I polloni tendono a essere ricadenti all’inizio, ma poi si raddrizzano velocemente.
Il tiglio può essere governato anche a fustaia. Si riproduce bene da seme, ma la gran parte di questi germina dopo 2 o 3 anni.
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27 – Acacia o Robinia – Robinia pseudoacacia
Classificazione Cronquist |
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Regno: |
Plantae |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Fabales |
Famiglia: |
Fabaceae |
Sottofamiglia: |
Faboideae |
Genere: |
Robinia |
Specie: |
R. pseudoacacia |
La Robinia pseudoacacia L. è una pianta della famiglia delle Fabaceae, originaria dell’America del Nord
Descrizione
Pianta con portamento arboreo (altezza fino a 25 metri) o arbustivo; spesso ceduato, con forte attività riproduttiva agamica, i polloni spuntano sia dal colletto sia dalleradici.
Corteccia di colore marrone chiaro molto rugosa.
Foglie imparipennate, lunghe fino a 30-35 cm con 11-21 foglioline ovate non dentate lunghe fino a 6 cm con apice esile. Aperte di giorno mentre la notte tendono a sovrapporsi.
Fiori bianchi o crema, lunghi circa 2 cm simili a quelli dei piselli, riuniti in grappoli pendenti. Frutti a forma di baccello prima verdi poi marroni lunghi circa 10 cm,deiscenti a maturità.
Presenza di numerose spine lunghe e solide sui rami più giovani.
Sezione trasversale: da notare come nella robinia sia ben distinguibile l’alburno (chiaro) dal durame (scuro)
Distribuzione
La specie è originaria dell’America del Nord, precisamente della zona degli Appalachi, dove forma boschi puri.
Fu importata in Europa nel 1601 da Jean Robin, botanico del re di Francia (all’epoca Enrico IV).
È ora diffusa in gran parte dell’Europa centrale, dal sud dell’Inghilterra e della Svezia, fino alla Grecia, Spagna e perfino Cipro.
Particolarmente diffusa però in Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo,Svizzera, Austria, Ungheria, Italia, Slovenia. Presente anche in Turchia e Israele, nonché in Australia e Nuova Zelanda.
Questa pianta in Europa è ormai ampiamente naturalizzata ma spesso ancora considerata una specie infestante a causa della sua velocità di crescita, soprattutto se ceduata: i ricacci (polloni), che fuoriescono sia dalla ceppaia che dal suo esteso apparato radicale, crescono molto velocemente e soffocano le piante di specie autoctone, soprattutto le querce, in quanto sono caratterizzate da una crescita più lenta. Inoltre, la sua estrema adattabilità la fa trovare a suo agio dai litorali ai 1000 metri di quota delle ombrose valli submontane. La conseguenza è la formazione di boschi con una ridotta varietà di specie arboree. La rapida diffusione di questa specie non è stata contrastata, anzi in passato la robinia è stata spesso diffusa dall’Uomo perché molto apprezzata per i suoi numerosi vantaggi.
Oggi la robinia è presente praticamente in tutta Italia, con particolare riferimento al Piemonte (dove i boschi puri e misti di robinia coprono una superficie di circa 85.000 ha) alla Lombardia, al Veneto e alla Toscana (ove si trovano cedui molto produttivi). Viene diffusamente coltivata in piantagioni da legno in vari paesi europei (Ungheria – 270.000 ha; Francia – 100.000 ha) ed extraeuropei (Cina – 1 milione di ha; Corea del Sud –270.000 ha).
È diffusa anche in Africa.
Per ridurre la diffusione della robinia all’interno dei boschi nei quali si è insediata, è necessario lasciare invecchiare le piante, in quanto la relativamente modesta longevità della specie determina un deperimento relativamente precoce delle piante. È da evitare il taglio dei polloni in quanto ciò non farebbe che rinvigorire le piante. La soppressione totale della pianta di robinia può avvenire scorticando la prima parte di corteccia della base dell’albero e lasciando che la pianta, nel giro di due mesi, “secchi in piedi”. L’interruzione degli scambi linfatici infatti non solo uccide l’apparato aereo ma anche l’apparato radicale determinando l’impossibilità per la pianta di produrre polloni.
Ecologia
Come tutte le leguminose, è in simbiosi radicale con microrganismi azotofissatori e quindi può arricchire il suolo di azoto. Nel complesso, la robinia è una specie pioniera, che però (almeno al di fuori del suo areale di vegetazione naturale) presenta una limitata longevità (60-70 anni) e quindi nelle zone più fertili è specie transitoria che può essere gradualmente sostituita da altre specie più longeve.
Usi
Molti sono i vantaggi di questa specie.
- Protezione: in Europa questa pianta si è diffusa velocemente e oggi è possibile trovarla ovunque, soprattutto lungo le ferrovie e scarpate, questo perché è una pianta a crescita veloce e con un apparato radicale molto sviluppato, questo permette di rafforzare le scarpate evitando che franino. Essendo inoltre dotata di elevata capacità pollonifera, la sua diffusione viene favorita dal taglio a cui la sottopongono gli agricoltori per ricavarne legname.
- Ornamentale: per i suoi fiori a grappolo, bianchi e profumati.
- Mellifero: dai suoi fiori le api producono un ottimo miele molto apprezzato (infatti il classico miele di acacia è in realtà di R. pseudoacacia)
- Legname: il legno,è di colore giallo, ad anelli ben distinti, duro e pesante (p.s. 0,75).
- È inoltre un ottimo combustibile (superiore a tutti i legnami europei) e viene usato per lavori di falegnameria pesante, per puntoni da miniera, per paleria (i tronchi lasciati in acqua per alcuni mesi in autunno e inverno acquisiscono una particolare tenacia), per mobili da esterno e per parquet. In Lombardia risulta essere la specie più tagliata nei boschi.
- Miglioratrice del terreno: come tutte le leguminose è inoltre una pianta che si avvale dei benefici dell’azotofissazione simbiontica.
- I fiori sono commestibili. In particolare nella campagne del Veneto (dove è anche nota con diversi nomi dialettali: cassia, gazìa, gadhìa, robina) vengono infatti consumati fritti in pastella dolce o salata e conferiscono alla frittella un profumo soave e un sapore particolarmente squisito. Tuttavia, il resto della pianta (fusti e foglie) contiene una sostanza tossica per l’uomo. La sua tossicità d’altra parte non è universale e alcuni animali se ne cibano. Le capre ne sono ghiotte e ne consumano in quantità senza alcuna conseguenza negativa.
Nomi regionali
Abruzzo |
albërë d’acàccë, acàccë |
Calabria |
acrassiàra, acrassiàru, caciàru, rubinara, cacinaru o cassiaru,carciu |
Emilia-Romagna |
marugone |
Friuli-Venezia Giulia |
cassia (Friuli), cazzia (Trieste e Istria)
|
Lazio |
spinacacia |
Liguria |
gazzïa, rubin-a, caccia |
Lombardia |
rubeglia, robino, rübé, spiìn |
Marche |
acaccia, caccia, maruga |
Molise |
gaggia |
Piemonte |
gasìa |
Sardegna |
acacia |
Toscana |
cascia |
Veneto |
cassia-gadia, garsìa, robina
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Classificazione Cronquist |
|
Regno: |
Plantae |
Divisione: |
Magnoliophyta |
Classe: |
Magnoliopsida |
Ordine: |
Hamamelidales |
Famiglia: |
Platanaceae |
Genere: |
Platanus |
Platanus è un genere di piante della famiglia delle Platanaceae.
Sono alberi monumentali adatti come piante ornamentali per decorare viali, parchi e giardini di notevoli dimensioni, nonché per l’arredo urbano grazie alla notevole resistenza allo smog delle metropoli.
Specie diPlatanuspiù conosciute
- Platanus acerifolia
- Platanus kerrii
- Platanus mexicana
- Platanus occidentalis
- Platanus orientalis
- Platanus racemosa
- Platanus wrightii
La specie ormai spontanea in Italia il P. acerifolia, volgarmente noto come platano comune, è un ibrido tra il Platanus orientalis e il Platanus occidentalis.
Il Platanus occidentalis L. noto come Platano occidentale, è originario dell’America settentrionale, chiamato volgarmente anche Platano americano, ha foglie a 3-5 lobi poco marcati, porta infruttescenze solitarie a capolino, acheni sormontati da un breve stilo, coltivato in Italia a scopo ornamentale
Uso
- Come pianta ornamentale per viali, parchi e ampi giardini
- Il legname che se ne ricava è pesante (p. sp. 1,00 da fresco, 0,67 stagionato, 0,62 secco), poco durevole, viene utilizzato per mobili, compensati, legna da ardere
Avversità
Insetti:
-
- Lepidotteri:
Bombice – le larve di Lasiocampa quercus L. (Lasiocampidae) erodono il lembo fogliare provocando gravi defogliazioni
Bucefala – le larve di Phalera bucephala L. (Notodontidae) attaccano le foglie lasciando intatte solo le nervature
Rodilegno bianco – le larve di Zeuzera pirina L. provocano seri danni scavando gallerie nei rami e nei tronchi sottili
Scolitidi – gli adulti e le larve del coleottero Scolytus multistriatus Marsh. si nutrono delle gemme e della corteccia tenera, con gravi fenomeni di deperimento della pianta e ingiallimento delle foglie, le femmine scavano le gallerie di ovodeposizione tra la corteccia e il legno, le larve scavano nuove gallerie perpendicolari a quella materna, uscendone tramite un foro nella corteccia nello stadio adulto, possono essere vettori di malattie fungine.
- Acari:
-
- Ragnetto rosso comune Tetranychus urticae Koch – Gli adulti attaccano le foglie, provocando aree depigmentate e clorotiche in prossimità delle nervature, fino ad arrivare in casi gravi alla filloptosi.
- Ragnetto giallo del Tiglio Eotetranychus tiliarius (Hermann) – Il danno a carico delle foglie si registra maggiormente nel periodo estivo (luglio, agosto) e si manifesta con una massiccia defogliazione.
Funghi:
-
- Carie – l’attacco di Polyporus sp., Trametes sp., Fomes sp. riduce il legno ad un ammasso spugnoso e friabile, di colore biancastro o brunastro a seconda che la degradazione interessi la cellulosa o la lignina, sulla superficie del tronco compaiono i carpofori a forma di mensola o zoccolo di colore grigio-giallastro a consistenza caseosa e a maturità legnosa
- Seccume fogliare – l’attacco di Gnomonia veneta (Sacc. et Speg.) Kleb., causa sulle foglie l’imbrunimento della lamina, in corrispondenza della nervatura principale con comparsa di puntini nerastri, sui rametti provoca un accorciamento degli internodi con la formazione di tubercoli
- Cancro colorato – il fungo ascomycota Ceratocystis fimbriata è un pericoloso parassita originario dell’America e giunto in Europa durante la seconda guerra mondiale (attraverso le casse di legno di platano con le quali vennero sbarcate a Trieste le munizioni). L’infezione coinvolge tutte le parti della pianta (fusti, chiome e radici) e si trasmette per contatto diretto delle spore fungine con ferite (anche piccolissime) del tessuto vegetale o attraverso la fusione delle radici (per piante molto vicine), risultando sempre letale e non trattabile con normali prodotti antimicotici. La forma acuta provoca la completa disseccazione di parti della chioma e può presentarsi, sui tronchi, sotto forma di ampie zone necrotiche presentanti spesso insolite pigmentazioni. Il nome comune delle malattia, “cancro colorato del platano”, deriva dalla caratteristica colorazione rossiccia che il parassita trasmette alle zone legnose colpite. In Italia, dove la malattia è comparsa per la prima volta negli anni ’70 diffondendosi presto in ampie zone sia del nord che del sud (la Lombardia risulta, attualmente, la regione più colpita), è in vigore l’obbligo di lotta contro la malattia comprendente rigide regole riguardo l’abbattimento degli individui infetti e lo smaltimento del legname colpito.
- Maculatura fogliare da Septoria sp., Phyllosticta sp. – sulle foglie si osservano piccole macchie necrotiche di colore brunastro o grigiastro, che in alcuni casi possono estendersi sull’intera lamina. Le fruttificazioni del fungo si riscontrano sui tessuti fogliari colpiti.
- Eutypella parasitica
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29 – Pino silvestre – Pinus sylvestris
Classificazione Cronquist |
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Regno: |
Plantae |
Divisione: |
Pinophyta |
Classe: |
Pinopsida |
Ordine: |
Pinales |
Famiglia: |
Pinaceae |
Genere: |
Pinus |
Specie: |
P. sylvestris |
Il pino silvestre (Pinus sylvestris L., 1753) è un albero sempreverde della famiglia delle Pinaceae.
È una specie arborea di primaria importanza nel settore forestale e selvicolturale.
Morfologia
Ha una forma espansa caratteristica, con chioma espansa di un gradevole colore verde glauco.
La ramificazione è verticillata in gioventù, poi più irregolare. Il suo legname è modesto, apprezzato in falegnameria.
Portamento
Alto fino a 40 metri, con aghi come foglie.
Corteccia
Alla base degli alberi adulti è bruna-rossastra e si stacca a placche. Nelle parti più giovani dei rami e del tronco il colore tende al rosso-marrone.
A maturità è grigia.
Foglie
Aghiformi, sempreverdi, raggruppati in mazzetti di due aghi (raramente tre o quattro), lunghi circa 3-5 cm (talvolta fino a 10 cm), di colore verde glauco, ritorti e con guaine brunastre alla base.
Fiori
Fiorisce all’inizio dell’estate, i fiori possono essere:
- Microsporofilli: formano piccoli coni sessili, penduli, di colore giallo, alla base dei getti dell’anno.
- Macrosporofilli: formano coni rossastri, globosi e generalmente isolati, eretti all’impollinazione in seguito pendenti che si trasformano in
- strobili (pigne) ovali, circa 3-7 cm, con cortissimo picciolo. Inizialmente verdi, poi grigio-marroncine scure e si trovano in coppie o in gruppi sugli steli ricurvi. Le pigne maturano e liberano i semi in tre anni.
Radici
Il pino ha un sistema di radici a fittone con radici laterali che si approfondano e si allontanano orizzontalmente con cui può penetrare in profondità anche in strati acquiferi.
Differenze con piante simili
Inconfondibile per gli aghi corti riuniti a due, di colore glauco e soprattutto ritorti a elica; nonché per la corteccia giovanile color rossomattone. Il portamento è simile al pino marittimo (Pinus pinaster) dal quale si distingue però completamente per il colore della corteccia e delle foglie, che sono più corte e leggermente avvolte, e per gli strobili più piccoli. Nelle forme mature può ricordare il pino da pinoli (Pinus pinea) dato che la chioma è presente solo nel terzo apicale del fusto.
Ecologia
È una pianta colonizzatrice con poche pretese nei riguardi del terreno e della necessità di acqua. È una specie adattabile che preferisce terreni calcarei ma tollera anche terreni argillosi, resiste al freddo (microterma) ed al secco; è spiccatamente una pianta eliofila.
Distribuzione
Il pino silvestre predilige terreni morbidi e areacei della zona temperata settentrionale. Ci sono però anche altre specie di Pinus sylvestris ai margini settentrionali dei tropici. Specie diffusa in varie zone d’Italia specie al centro-nord. Usato anche nei parchi e nei giardini. È diffuso nelle Alpi, nonché nell’Europa centrale e settentrionale. Cresce solitamente a quote comprese tra i 500 e 1400 metri (anche se sporadicamente può spingersi fino a 1800-1900 m), e in Piemonte e Lombardia è presente anche a quote relativamente basse (colline del Basso Monferrato e Novarese in popolazioni residue, Langhe; alta pianura asciutta fra il Ticino e l’Adda, in particolare nel Parco del Ticino, Parco delle Groane, parco della Pineta di Appiano Gentile e Tradate e parco della Brughiera briantea). Forma sia boschi puri che misti, solitamente con l’abete rosso o l’abete bianco. In pianura forma boschi puri o misti con la betulla, il pioppo tremolo o la farnia.
Varietà
Sono state descritte tre varietà:
- var. sylvestris in Europa e fino alla Siberia,
- var. hamata nei Balcani, in Turchia e nel Caucaso. e
- var. mongolica in Mongolia e parti confinanti della Siberia e della Cinanordoccidentale. Può essere considerata anche
- var. nevadensis sui monti della Spagna meridionale.
Impieghi
Costruzioni edilizie e navali, serramenti, strumenti musicali, mobilio, imballaggi, pasta da carta, lavori idraulici.
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